A volte mentre scrivo per me stesso e oso nel mio piccolo pubblicarlo ad altri, mi trovo a pensare se quello che Apelle rimprovera la suo calzolaio sia riferito a me. Non è che anche adesso sono andato oltre, sopra le righe e mi sono trovato in una bottega a offrire prodotti che non so veramente che valore hanno?
Sutor, ne ultra crepidam
Un monito per chi parla a vanvera
di Annalisa Venditti
Molti sono i motti latini ancora in uso. Uno dei più famosi recita: “sutor, ne ultra crepidam”, che si può tradurre con “ciabattino, non andare oltre le scarpe” e viene comunemente utilizzato per mettere a tacere tutti coloro che mettono bocca in argomenti di cui non sanno nulla o quasi.
La frase, in origine “ne supra crepidam sutor judicaret”, è attribuita da Plinio il Vecchio ad Apelle, il famoso pittore greco del IV secolo a.C.
Nel XXXV libro della sua “Storia Naturale”, lo studioso scrive che l’artista era solito esporre le sue opere in una loggia man mano che le terminava, per ascoltare, nascosto dietro il quadro, i difetti che venivano trovati. “Dicono che – continua Plinio – ripreso una volta da un calzolaio per aver fatto un occhiello in meno su certi sandali, il giorno seguente lo stesso calzolaio, inorgoglito dal successo del precedente suggerimento, si fosse messo a fare critiche sulla gamba. Apelle allora lo affrontò indignato, dicendogli che un calzolaio non doveva giudicare al di sopra della scarpa”.
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