“Una persona può essere riconosciuta dalla natura delle parole che mangia. Ho sempre visto le persone provenienti da ambienti culturali, con qualche felice eccezione, come persone che non si nutrivano che di nomi propri, quando questi nomi avevano raggiunto una certa celebrità. La cultura e l’intelligenza appartengono a due ordini differenti. Si può avere l’una e essere sprovvisti dell’altra. Si può essere acculturati e di una stupidità spaventosa. L’intelligenza viene dall’anima ed è concessa a tutti per il solo fatto di nascere, anche se tutti non ne fanno uso, non osano far uso della loro capacità personale alla solitudine, della intensità di solitudine della propria anima. L’intelligenza non è nient’altro: la maniera personale di stare di fronte a sé e di fronte al mondo, la maniera di ciascuno di lasciarsi trasformare da ciò che gli viene incontro e di cercare il proprio bene, il suo proprio bene, in ciò che l’attraversa e talvolta l’ uccide. Leggere, ad esempio, è una delle manifestazioni più semplici dell’intelligenza , ciò non ha niente a che vedere , assolutamente nulla con la cultura. Leggere è fare prova di sé nella parola di un altro, fare arrivare dell’inchiostro via sangue sino al fondo dell’anima così che essa ne sia impregnata, mangiare ciò che si legge, trasformarlo in sé e trasformarsi in esso. La lettura che non sconvolge la vita non è niente, non ha avuto luogo, non è nemmeno tempo perduto,è meno di niente. Ogni vita che non sia sconvolta dalla vita e che non vada, sola, senza il conforto di alcuna lezione , a trovare il proprio bene in questo sconvolgimento, è morta. Sta alla persona sola decidere ciò che è il bene d’una persona, facendo leva unicamente sulla sufficiente luce della propria solitudine, il più lontano possibile dalle convenzioni intellettuali e morali. L’intelligenza non la si impara – si esercita. La cultura invece sì, si impara – viene fuori a poco a poco dall’accumularsi di lunghi studi, si aggiunge a noi con il tempo e ad opera di altri. Se uno vive soltanto nella cultura, molto presto diventa analfabeta: c’è un tempo, negli ambienti culturali, in cui le opere non vengono più meditate, amate, mangiate, un tempo in cui non si mangiano che i nomi degli autori, il loro nome soltanto, per farsene vanto o per imbrattarlo. La cultura quando viene a tal punto privata d’intelligenza, diviene una malattia dell’accumulo, una cosa inconsumabile che si sa solo consumare.”
Christian Bobin
Nessun commento:
Posta un commento