« Bambini del ventesimo secolo, i vostri genitori sono stanchi. Non credono più in niente. Vi domandano di portarli sulle spalle, di dar loro coraggio e forza. Bambini dei tempi moderni, siete dei re in un deserto. Bambini del tredicesimo secolo vi si accorda poco peso. Siete come una torma talora scossa da brividi di febbre, decimata dalle guerre, dalle carestie o dalla peste. Vi si parla molto poco nei primi anni. Vi si guarda appena, con lo sguardo intenerito che si accorda ai cani di fattoria coi quali giocate nella polvere dei cortili. Piccoli selvaggi del tredicesimo secolo, crescete inosservati sotto lo sguardo di tutti, confusi coi servi nelle scuderie e con le galline nella sala grande. Chi ha visto il piccolo Francesco crescere? A parte Dio, nessuno o quasi. Non il padre, troppo occupato dai suoi viaggi, dal suo denaro e dalle sue stoffe. La madre, un poco. Così poco: il genio materno ha le sue eclissi. C’è quella che veglia su colui che ama, senza impedirgli di prendere la sua strada. E c’è quella che si tormenta per colui che ama, e cerca di modificarne il cammino. C’è Marta e c’è Maria, le due sorelle incontrate da Gesù che passava. Marta, preoccupata dell’ordine e del cibo, che si affanna per la cucina, persa fra rumori di piatti e d’acqua che bolle. E Maria, il grembiule buttato sotto una panca, Maria seduta per terra, le gambe ripiegate di sotto come le ali di un uccello che riposa, viso aperto, mani vuote, Maria tutta presa da quest’amore senza il quale ogni ordine è triste, ogni cibo insipido. Marta e Maria. L’una persa in mille cose, l’altra raccolta. L’una infaticabile, l’altra quieta. Le madri sono l’una e l’altra, spesso contemporaneamente. Il pensiero del bambino le acceca e le illumina al tempo stesso. Guardano la carne della propria carne. Vedono il fanciullo vivere, mai crescere. Vedono il fanciullo nell’eternità della sua età, non vedono mai il passaggio da un’età all’altra, da un’eternità alla successiva. Un giorno si voltano indietro, osservano stupite quel baldo giovane che entra in casa, quell’uomo impacciato dalla sua stessa forza, non rendendosi più conto di come tanta forza e tanta goffaggine siano potute venire da loro, non comprendendo più nulla: il loro fanciullo è cresciuto, ma il loro cuore non è invecchiato e arde, come ai primi dolori del parto…
(Francesco e l’infinitamente piccolo, San Paolo 1994, pp. 28-29 )
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