Christian Bobin
Vuoi sapere chi tu sei per me.
E allora ecco: tu sei colei
che mi impedisce di bastarmi.
Tu mi hai dato la cosa più preziosa di tutte:
la mancanza!
di Umberto Galimberti (filosofo)
Che cosa lega queste quattro parole: amore, lavoro, pace, salute, intorno a cui si svolge la mostra fotografica di National Geographic Italia ideata da Guglielmo Pepe? Le lega un filo, neppure troppo sotterraneo, che caratterizza la malinconia del nostro tempo che si chiama “mancanza”.
Amore è mancanza. Ce lo spiega a chiare lettere Platone nel Simposio, dove si narra di Amore figlio di Penía che significa “povertà”. Intimamente connesso al desiderio, infatti, Amore non desidera ciò che si ha, ma ciò che non si ha, per cui la mancanza le è costitutiva. È da questa mancanza che nasce la tensione amorosa, che promuove entusiasmo e disperazione, anelito e spasmo, che tutti gli amanti conoscono quando l’oggetto d’amore non sembra sia mai sufficientemente conquistato. Perché quando l’oggetto è posseduto, lo si gode, ma non lo si desidera più. Ma anche il lavoro è mancanza, non solo perché la crisi ha reso rare le opportunità, ma perché l’avanzare della tecnica riduce l’impiego degli uomini sostituiti dai robot, e ridotti essi stessi a robot, dovendo eseguire null’altro che le azioni descritte e prescritte dagli apparati tecnici, senza più nessuna ideazione, che invece caratterizzava la produzione artigianale, dove l’artefice vedeva nell’opera il riflesso di sé. Ora le categorie dell’efficienza e della produttività hanno cancellato ogni espressione creativa del lavoratore che, oggi, nell’opera, vede realizzato solo l’obiettivo dell’apparato di appartenenza, e non l’autorealizzazione di sé. Si tratta di un’alienazione ben più grave di quella prevista da Marx. Ma anche la pace è mancanza perché durante la pace non cessa quell’impossessarsi dei beni della terra con mezzi meno truculenti di quelli tipici della guerra tradizionale. Il mercato è guerra, le multinazionali che si impadroniscono dei beni della terra a scapito delle popolazioni locali è guerra, le monoculture che si impongono alle nazioni povere è guerra, il respingimento degli immigrati in cerca di vita è guerra, l’impoverimento della vita delle nazioni per effetto di operazioni finanziarie di cui le nazioni sono relativamente responsabili è guerra. Per cui non possiamo che concordare con Heidegger là dove scrive: “Ogni differenza tra guerra e pace oggi è soppressa, […] perché la guerra non va verso una pace di tipo tradizionale, ma verso una situazione in cui i caratteri costitutivi della guerra non sono più esperiti come tali, e ciò che costituisce la pace ha perso ogni senso e ogni contenuto”. Ma anche la salute è mancanza. Non nel senso che siamo tutti malati, ma che ci percepiamo come potenzialmente malati. Non si spiegherebbero tutte quelle cure del corpo che hanno sostituito la cura dell’anima, una volta persa la fiducia nella sua immortalità. Ai digiuni abbiamo sostituito le diete, agli esercizi spirituali gli esercizi fisici in palestra, i ritiri nei centri benessere. E all’inquietudine che sempre accompagna la condizione umana, i farmaci,e alle sofferenze che di tanto in tanto costellano la nostra vita, le psicoterapie. Siamo tutti afflitti da un vissuto di vulnerabilità per aver allontanato da noi ed esorcizzato la morte, e ci preoccupiamo della salute che è poi l’ultimo cascame della perduta fede nella salvezza. I medici sono i nuovi sacerdoti, perché non accettiamo più i limiti della nostra esistenza mortale. Per questo la mostra curata da Guglielmo Pepe chiede meditazione e seria riflessione.
Certo che ti farò del male.
Certo che me ne farai.
Certo che ce ne faremo.
Ma questa è la condizione stessa dell'esistenza.
Farsi primavera, significa accettare il rischio dell'inverno.
Farsi presenza, significa accettare il rischio dell'assenza.
Antoine de Saint-Exupéry
Capisco le tue frasi solo quando leggo i tuoi post...
RispondiEliminaWow. Non aggiungo altro.