mercoledì 27 febbraio 2013
Il furbo che adula il tiranno per trarne profitto o protezione o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza, gioca anzi con essa al massimo grado.
Ogni violento si picca di essere coraggioso, ma la maggior parte di loro sono solo vigliacchi. Combattono solo se la paura che hanno del nemico è minore di quella che nutrono per coloro che li mandano a combattere. Si affrettano ad abbattere il nemico, per timore di essere abbattuti. Esposti, fuggono, accerchiati, si arrendono. Ma il nonviolento è sempre accerchiato, esposto, e pronto a farsi battere, la sua nonviolenza consiste nel rifiutare di difendersi, nel rifiutare di indietreggiare, nel rifiutare di tacere, nel rifiutare di essere spinti da parte, nel rifiutare di farsi commiserare, di farsi dimenticare, di farsi perdonare. Se gli manca il coraggio, la sua nonviolenza si annulla. Il furbo che adula il tiranno per trarne profitto o protezione o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza, gioca anzi con essa al massimo grado. La furbizia è violenza rivestita di viltà e foderata di tradimento. La nonviolenza è l’esatto contrario della furbizia; è un atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio, è una testimonianza della verità fino alla conversione del nemico. Essa tende non a eliminare il nemico, ma a destarne la coscienza. Non a metterlo in fuga, ma a metterlo di fronte a se stesso. Non a ridurlo in balia, ma ad affidarlo al suo proprio giudizio. Non a soggiogarlo, ma a liberarlo dalla sua cecità e dalla catena di misfatti che ne sono derivati. Non a umiliarlo, ma a ricordargli che il suo onore lo obbliga a fare onore al diritto. Non a imporgli la pace e a dettargli la legge , ma a condurlo all’accordo. (Lanza del Vasto, Vinöbâ ou le nouveau pélerinage).
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