"Io non sono vecchio!
Non vogliono dir nulla settantaquattro anni!
Cinquant'anni non sono nulla, non mi separano affatto dalla giovinezza.
Se mi volto, dietro le mie spalle c'è la giovinezza chiara, nitida,
e dietro c'è la fanciullezza, ancora più chiara e nitida di quando avevo vent'anni.
I pensieri sono con me, li devo ancora sviluppare, e così i sentimenti, i desideri:
li devo ancora appagare!
Io non sono affatto sazio di vita,
comincio appena ora ad assaporarla!
Perché mi mettete addosso questi dolori artritici,
queste rughe che mi fanno ghignare mentre non ghigno affatto, queste borse di pelle?
Perché m'impastoiate come un mulo e mi accecate?
Perché mi otturate le orecchie?
E perché mi guardate con quegli occhi che trovano naturale che io muoia?
C'è un errore, ve lo giuro!
Arrivate alla mia età e ve ne accorgerete!
Ma allora avrete anche voi un bel gridare,
e quelli che avranno i venti, i trenta, i quaranta, i cinquant'anni che adesso avete voi
non vi crederanno,
e vi conforteranno col tono bonario che si usa con i pazzi
quando dicono d'essere sani!".
Paolo uscì; tremava leggermente.
Come poteva un uomo ridursi così?
Era chiaro:
niente mai
meditazione,
niente mai
volontà,
niente mai
autocritica,
e quindi
niente coraggio,
niente dignità,
niente luce intellettuale,
niente superiorità sulla morte.
Lo spirito,
relegato nella stiva del corpo,
costretto a servirlo per renderne infiniti i godimenti,
ora si limitava a sbattere le sue catene per annunziare
che il padrone colava a picco.
Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa.
L'anima è eterna, e quello che non fa oggi, può farlo domani.
L'avvenire non è un probabile dono del ciclo, ma è reale, legato al presente come una sbarra di ferro, immersa nel buio, alla sua punta illuminata.
Un uomo può avere due volte vent'anni, senz'averne quaranta.
Paolo il caldo Vitaliano Brancati
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