Il grembo del silenzio notturno è rotto dal fragore delle macchine.
Costretti a passare una notte in luogo isolato,
ci si alza irrequieti;
il silenzio diventa un incubo nel sonno.
Spaventa la pace della montagna, del bosco;
e vi si va con la radio;
spaventa la quiete dell'appartamento,
e la si accende.
Il silenzio infastidisce a tal punto che,
dove sia imposto di tacere,
si crea un rumore.
Se nel corso di un discorso pubblico
o di una liturgia s'impone una pausa di silenzio,
immancabilmente uno si mette a tossire,
una fa scricchiolare il banco,
uno sfoglia le carte sottomano,
una apre la borsetta.
L'uomo aveva tratto dall'alternanza
di giorno e notte,
parola e silenzio
i simboli che gli permettevano di definire fatti interiori;
oggi non agiscono più.
La nostra esistenza si è impoverita
per non sapere tradurre in figure interiori quelle esperienze primordiali.
Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi
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