La nostra è una leggenda d'infanzia
non mai finita, che a sera
ognuno narra a se stesso
nel prendere sonno.
Intanto io cerco il Suo volto
nella folta gente che porto in cuore
e ognora emerge ignota.
Ora al balcone ora alla porta
guardo se mai un segno giunga
di una sosta almeno
al perenne camminare.
La notte è fitta di silenzio,
e non una stella è vicina.
Sola nella cella immensa e i fiori
ancora una volta appassiti:
ritarda anche stanotte. Verrà?
(O madre, felice te che sei morta!
Rammenta quante paure sentivo
per la stanza vuota e buia, la notte.
Ma tu mi parlavi delle Sue grandi braccia
come di dolcissime ali.)
D'allora ogni sera la stanza adorno
sposa che ha l'amore lontano
in viaggio di ritorno. D'allora
dentro lo porto a ricordo
di lontanissimi incontri
non mai avverati.
P. Turoldo (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” – pag. 231)
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