di Luca Alvino - pubblicato il 12 settembre 2010 Vivere significa percorrere un itinerario libero, fare delle scelte, spostarsi su una strada aperta, avere la possibilità di sperimentare dei fallimenti. Viceversa, compiere all’infinito un percorso circolare, che ripete eternamente un tragitto noto, senza mai correre il rischio della divagazione, significa rinunciare a consistere, ricusare qualsiasi movimento, reprimere ogni possibilità di comunicazione che non sia puramente autoreferenziale, abdicare alla stessa esistenza. Solamente accettando delle coordinate di riferimento, nelle quali muoversi ed essere riconosciuti, è possibile stabilire un rapporto con gli altri, aprire con essi un dialogo, uno scambio reciproco e fecondo. Per acquisire un’identità è necessario uno spazio da occupare. L’esistenza presuppone la consistenza.
È questa la lezione imparata in Somewhere, la pellicola di Sofia Coppola vincitrice del Leone d’Oro a Venezia 2010, che recupera le atmosfere rarefatte di Lost in translation, in un elegante percorso di maturazione personale e cinematografica della regista americana.
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