Oggi riporto la lectio liturgica di don Enzo Cuffaro. Ogni giorno mi accompagna nella riflessione teologica sulla Parola sempre con toni alti e puntuali facendo riscoprire come la Liturgia quotidiana insegna il discepolato. Per questo mi permetto di consigliare di attingere al suo sito (http://www.cristomaestro.it/) per avere questo cibo quotidiano.
L’evangelista Marco dice che “Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” (Mc 6,20). Questa descrizione suppone, nella personalità di Erode, una divisione interiore: qualcosa come una distanza o un conflitto tra il cuore e la mente. Egli avverte, nel profondo di se stesso, che la parola di Giovanni è vera; sente che esprime dei valori nobili, per i quali val la pena di impegnarsi totalmente e perfino di giocarsi la vita, ma soltanto una parte di lui riesce ad apprezzare l’annuncio di Giovanni. Un’altra parte, invece, è come legata da un timore: intuendo quali scelte radicali e quali virtù eroiche quella verità esigerebbe, il re si mantiene a distanza di sicurezza, senza tuttavia poter negare, dinanzi a se stesso, la validità di quell’insegnamento. In realtà, il discepolo può facilmente cadere in questa interiore divisione, cioè in un apprezzamento puramente mentale dei valori del Regno, a cui non corrisponda un’adesione piena sul piano volitivo e comportamentale. Non di rado, ci poniamo davanti al vangelo come ci si pone dinanzi a un racconto dalla trama avvincente, che ci conquista, anche se non vorremmo mai trovarci nei panni del protagonista. Le cause dell’indebolimento dello spirito del discepolo sono tutte qui: “Anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” (Mc 6,20). Nell’ascolto della Parola, Erode scopre di avere due anime, una che apprezza e una che fugge. Il discepolo è chiamato, invece, all’unificazione interiore della mente e del cuore dinanzi alla Parola, perché non avvenga che Essa, apprezzata con una parte di sé, sia poi fuggita con un’altra parte di se stessi, creando così un conflitto interiore e quindi un inevitabile indebolimento della vita spirituale. Ciò che ha impedito a Erode di incontrare Cristo come Salvatore è in primo luogo la divisione della sua anima. In secondo luogo, la sua vana curiosità: il suo incontro con Cristo, durante il processo civile, è per lui solo un’occasione per poter vedere qualche miracolo. L’evangelista Luca non manca di sottolinearlo nel racconto della Passione: “Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da Lui” (Lc 23,8). Cosa che Cristo non poteva accordargli. Non si cerca Dio per il gusto dello straordinario. A una tale aspettativa, Gesù risponde col più totale silenzio (cfr. Lc 23,9). In Luca 9,9 è detto che Erode “cercava di vederlo”. Luca, nel suo vangelo, presenta Gesù come oggetto di ricerca e di contemplazione. Anche Zaccheo viene spinto a salire sull’albero dal medesimo desiderio: “per cercare di vedere quale fosse Gesù” (Lc 19,3), ma non con lo spirito superficiale di Erode. Il pubblicano Zaccheo è disposto a ridefinire la propria vita, dopo avere visto Gesù; Erode invece no. E questa è la differenza sostanziale tra i due.
Erode viene anche presentato sotto un altro aspetto che per contrasto allude all’autentica regalità del battezzato. Dal punto di vista umano, Erode è rivestito della dignità regale, ma dal punto di vista della sua statura morale, egli appare inferiore all’ultimo suddito del suo regno. La regalità del discepolo, che consiste nell’essere figlio di Dio, avendo sopra di sé nessun altro potere se non la divina autorità, è una regalità certamente superiore a quella derivante dal potere politico. In questo senso, il battista è una figura di contrasto: prigioniero e condannato a morte, è l’unica vera figura regale all’interno del racconto, l’unico uomo libero, pur trovandosi in catene. Erode invece non è un uomo libero; egli è reso schiavo da molti tiranni: innanzitutto, da ciò che si pensa di lui a corte, ed è pronto a trasgredire la giustizia, pur di non andare contro le aspettative, anche perverse, dei suoi dignitari (cfr. Mc 6,26). E poi i tiranni che sono le passioni: la mancanza di dominio di sé, lo porta a fare una promessa irriflessiva confermata persino da un giuramento (cfr. Mc 6,22-23; Mt 14,7). Occupare una posizione importante, o essere rivestiti di autorità istituzionale, non è garanzia di statura morale. Se la virtù non corrisponde alla posizione che si occupa, come nel caso di Erode, le conseguenze sono devastanti. Il discepolo è chiamato a una totale libertà sia dalle passioni, sia dai giudizi perversi di chicchessia. In tal modo, il battezzato vive una regalità senza scettro, che è tanto più autentica quanto più è falsa la regalità di Erode, la quale, pur munita di tutte le insegne, è solo apparente, utile solo a rivestire un manichino. Don Enzo Cuffaro
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