Lo so che il testo proposto è lungo ma vale la pena (gioia) di leggerlo e magari rileggerlo, alla fine ci rifletterà la verità che è in noi.
“Chi
invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta… troverà la sua
felicità nel praticarla” (Gc.1.25). Ovviamente, Giacomo allude qui
al senso di infelicità e di fatica che l’uomo percepisce dinanzi
alla Parola Dio prima ancora di averla messa in pratica. La Parola di
Dio molto spesso è percepita come l’indicazione di una meta troppo
alta a cui si aggiunge talvolta anche la tentazione dello
scoraggiamento, che ci spinge a pensare che il cammino di fede non è
per noi e che non ce la faremo mai. Il riferimento di Giacomo alla
felicità che si prova nel praticare la Parola, vince questa forma di
inganno che afferra l’uomo nel momento della conoscenza del vangelo
e delle sue esigenze, ma che lo lascerà immediatamente nell’azione,
qualora il discepolo avrà il coraggio di lanciarsi nell’avventura
dell’ubbidienza. Insomma, le esigenze del vangelo spaventano solo
coloro che non hanno mai tentato di viverlo, ma colui che tenta
l’esperimento, trova in esso la propria piena realizzazione.Il
testo sposta poi l’attenzione dalla parola dell’uomo alla Parola
di Dio, entrambe strettamente collegate, perché la parola umana è
il veicolo della Parola di Dio. La Parola di Dio per comunicarsi
prende in prestito la parola umana, che diventa così parola
ispirata. In questa sezione della lettera si dice che la Parola di
Dio è come uno specchio dove l’uomo osserva il proprio volto. A
questa osservazione del proprio volto riflesso nello specchio
potrebbero conseguire diverse soluzioni: c’è chi dopo essersi
guardato si allontana, dimenticandosi; c’è chi decide di
migliorare la propria immagine eliminando gli elementi di disarmonia
o ricorrendo all’uso dei cosmetici. La Parola di Dio si presenta in
primo luogo come una luce di conoscenza, una scoperta di se stessi
nella luce della verità di Dio, e in secondo luogo, come una forza
trasformante. In maniera indiretta si comprende che tale processo di
conoscenza di sé e di perfezionamento personale è un processo
doloroso: “Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta…
troverà la sua felicità nel praticarla” (v. 25). Ovviamente,
Giacomo allude qui al senso di infelicità e di fatica che l’uomo
percepisce dinanzi alla Parola Dio prima ancora di averla messa in
pratica. La Parola di Dio molto spesso è percepita come
l’indicazione di una meta troppo alta a cui si aggiunge talvolta
anche la tentazione dello scoraggiamento, che ci spinge a pensare che
il cammino di fede non è per noi e che non ce la faremo mai. Il
riferimento di Giacomo alla felicità che si prova nel praticare la
Parola, vince questa forma di inganno che afferra l’uomo nel
momento della conoscenza del vangelo e delle sue esigenze, ma che lo
lascerà immediatamente nell’azione, qualora il discepolo avrà il
coraggio di lanciarsi nell’avventura dell’ubbidienza. Insomma, le
esigenze del vangelo spaventano solo coloro che non hanno mai tentato
di viverlo, ma colui che tenta l’esperimento, trova in esso la
propria piena realizzazione.
L’immagine dello specchio paragonato alla Parola contiene in sé un
altro insegnamento. La Parola è uno specchio nel quale possiamo
vedere noi stessi rispecchiati nella verità di Dio. Ma nel momento
in cui questo specchio fosse voltato nella direzione degli altri, si
cadrebbe in una grave degenerazione. Se è disdicevole guardarsi
nello specchio per poi dimenticarsi, lo è ancora di più girare lo
specchio nella direzione degli altri perché essi si guardino, mentre
noi rimaniamo al sicuro aldilà dello specchio, senza il rischio di
essere chiamati in causa. Questo, forse, potrebbe capitare più
facilmente ai ministri della Parola, i quali, a forza di mettere lo
specchio della Parola davanti agli altri, possono perdere l’abitudine
di guardarcisi dentro.
(don Vincenzo Cuffaro)
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