mercoledì 15 febbraio 2012

qualora il discepolo avrà il coraggio di lanciarsi nell’avventura dell’ubbidienza


Lo so che il testo proposto è lungo ma vale la pena (gioia) di leggerlo e magari rileggerlo, alla fine ci rifletterà la verità che è in noi.

“Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta… troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc.1.25). Ovviamente, Giacomo allude qui al senso di infelicità e di fatica che l’uomo percepisce dinanzi alla Parola Dio prima ancora di averla messa in pratica. La Parola di Dio molto spesso è percepita come l’indicazione di una meta troppo alta a cui si aggiunge talvolta anche la tentazione dello scoraggiamento, che ci spinge a pensare che il cammino di fede non è per noi e che non ce la faremo mai. Il riferimento di Giacomo alla felicità che si prova nel praticare la Parola, vince questa forma di inganno che afferra l’uomo nel momento della conoscenza del vangelo e delle sue esigenze, ma che lo lascerà immediatamente nell’azione, qualora il discepolo avrà il coraggio di lanciarsi nell’avventura dell’ubbidienza. Insomma, le esigenze del vangelo spaventano solo coloro che non hanno mai tentato di viverlo, ma colui che tenta l’esperimento, trova in esso la propria piena realizzazione.Il testo sposta poi l’attenzione dalla parola dell’uomo alla Parola di Dio, entrambe strettamente collegate, perché la parola umana è il veicolo della Parola di Dio. La Parola di Dio per comunicarsi prende in prestito la parola umana, che diventa così parola ispirata. In questa sezione della lettera si dice che la Parola di Dio è come uno specchio dove l’uomo osserva il proprio volto. A questa osservazione del proprio volto riflesso nello specchio potrebbero conseguire diverse soluzioni: c’è chi dopo essersi guardato si allontana, dimenticandosi; c’è chi decide di migliorare la propria immagine eliminando gli elementi di disarmonia o ricorrendo all’uso dei cosmetici. La Parola di Dio si presenta in primo luogo come una luce di conoscenza, una scoperta di se stessi nella luce della verità di Dio, e in secondo luogo, come una forza trasformante. In maniera indiretta si comprende che tale processo di conoscenza di sé e di perfezionamento personale è un processo doloroso: “Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta… troverà la sua felicità nel praticarla” (v. 25). Ovviamente, Giacomo allude qui al senso di infelicità e di fatica che l’uomo percepisce dinanzi alla Parola Dio prima ancora di averla messa in pratica. La Parola di Dio molto spesso è percepita come l’indicazione di una meta troppo alta a cui si aggiunge talvolta anche la tentazione dello scoraggiamento, che ci spinge a pensare che il cammino di fede non è per noi e che non ce la faremo mai. Il riferimento di Giacomo alla felicità che si prova nel praticare la Parola, vince questa forma di inganno che afferra l’uomo nel momento della conoscenza del vangelo e delle sue esigenze, ma che lo lascerà immediatamente nell’azione, qualora il discepolo avrà il coraggio di lanciarsi nell’avventura dell’ubbidienza. Insomma, le esigenze del vangelo spaventano solo coloro che non hanno mai tentato di viverlo, ma colui che tenta l’esperimento, trova in esso la propria piena realizzazione.
L’immagine dello specchio paragonato alla Parola contiene in sé un altro insegnamento. La Parola è uno specchio nel quale possiamo vedere noi stessi rispecchiati nella verità di Dio. Ma nel momento in cui questo specchio fosse voltato nella direzione degli altri, si cadrebbe in una grave degenerazione. Se è disdicevole guardarsi nello specchio per poi dimenticarsi, lo è ancora di più girare lo specchio nella direzione degli altri perché essi si guardino, mentre noi rimaniamo al sicuro aldilà dello specchio, senza il rischio di essere chiamati in causa. Questo, forse, potrebbe capitare più facilmente ai ministri della Parola, i quali, a forza di mettere lo specchio della Parola davanti agli altri, possono perdere l’abitudine di guardarcisi dentro.
(don Vincenzo Cuffaro)

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