Paolo dice in Timoteo 1,12 "lo so in chi ho posto la mia fede". Questo sapere non è un sapere intellettuale, è un sapere che coinvolge tutta la persona, è un sapere del cuore, un sapere in cui il sì della persona la coinvolge totalmente, è quel fuoco interiore che non può essere rinnegato, quindi non si può rinnegare se stessi.
Sono io che ho scelto e deciso di vivere questa vita, e ho deciso abbandonandomi al Signore. Sicuramente c'è il momento della tentazione, dell'azzeramento del proprio passato: "e se mi fossi sbagliato, se fosse stata tutta una illusione?". Indubbiamente viene questa domanda. Proprio in quel momento la crisi si fa presente.
La crisi può anche essere un momento di verità, un momento in cui siamo chiamati ad avvertire un sintomo che ci dice che i nostri assetti interiori devono riadattarsi alla situazione che stiamo vivendo; c'è un riassettamento da fare.
In particolare Geremia è chiamato ad integrare, nella sua vocazione, anche le sofferenze, le contraddizioni, le ostilità che gli vengono dai suoi stessi confratelli, all'interno stesso del popolo di Dio. Ma ciò che è essenziale è quel fuoco chiuso nelle sue ossa che egli non può contenere. È questo il ravvivamento della vocazione.
In Geremia 20,8-9 "Diversi anni dopo, quando già per molto tempo aveva esercitato il suo ministero profetico dice: "Quando parlo devo gridare, proclamare violenza, oppressione, così la parola del Signore è diventata per rne motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno". Era così dolce, così bello e adesso ... motivo di obbrobrio e di scherno. "Mi dicevo, non penserò più a Lui, non parlerò più in suo nome." Basta, subentra la tentazione dell'abbandono.
Se un profeta non parla più in nome di Dio, ha finito il suo ministero. "Ma nel mio cuore c'era un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa, mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo". Se la vocazione risponde al desiderio profondo della persona, questo è davvero il fuoco che non si può spegnere.
Luciano Manicardi
Nessun commento:
Posta un commento