Mi piace molto la parola felicità.
Per molto tempo ho pensato che era o troppo facile o troppo difficile parlare della felicità, e poi ho superato questo pudore, o meglio ho approfondito questo pudore di fronte alla parola felicità.
La prendo in tutta la varietà dei suoi significati, compreso quello delle beatitudini.
La formula della felicità è: “Beato chi…”.
Saluto la felicità come una «ri-conoscenza» nei tre sensi della parola. La riconosco come mia, l’approvo negli altri e ho della gratitudine per ciò che ho conosciuto della felicità, e delle piccole felicità, tra le quali, le piccole felicità della memoria, per guarirmi delle grandi infelicità dell’oblio.
E qui funziono nello stesso tempo come filosofo, nutrito dei greci e come lettore della Bibbia e del Vangelo dove si può seguire il percorso della parola felicità.
Ci sono come due registri:
il meglio della filosofia greca è una riflessione sulla felicità, la parola greca eudeimon, come in Platone e Aristotele,
e, d’altra parte, mi ritrovo molto bene nella Bibbia. Penso all’inizio del Salmo 4: “Chi ci farà vedere il bene?”.
E’ una domanda retorica, ma che ha la sua risposta nelle beatitudini, e le beatitudini sono l’orizzonte di felicità di una vita posta sotto il segno della benevolenza, poiché la felicità non è semplicemente ciò che non ho, ciò che spero di avere, ma anche ciò che ho gustato.
Recentemente riflettevo sulle immagini della felicità nella vita.
Riguardo alla creazione: un bel paesaggio di fronte a me, la felicità è l’ammirazione.
Poi, seconda immagine, riguardo agli altri: nella riconoscenza degli altri e, sul modello nuziale del Cantico dei Cantici, è il giubilo.
Poi, terza immagine della felicità, rivolta verso il futuro, è l’aspettativa: mi aspetto ancora qualcosa dalla vita. Spero di avere il coraggio del dolore che non conosco, ma mi aspetto ancora della felicità. Uso la parola aspettativa, potrei usarne un’altra che viene dalla lettera ai Corinzi, dal versetto che introduce il famoso capitolo 13, sulla “carità che comprende tutto, scusa tutto”. Questo versetto dice: “Aspirate ai doni più grandi”. “Aspirate”: è la felicità d’aspirare che completa la felicità del giubilo e la felicità dell’ammirazione. (Paul Ricoeur, Liberare il fondo di bontà).
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