giovedì 30 gennaio 2014

Dobbiamo imparare a coniugare insieme i due aspetti: noi ci presentiamo alla casa del Signore per essere da lui accolti e però prima il Signore si presenta alla nostra casa per essere accolto nei luoghi della nostra esistenza.


Se siamo cristiani praticanti siamo abituati ad andare in chiesa. 
Sappiamo che Dio ci convoca nella sua casa 
per pregare, ascoltare la sua Parola, celebrare l'Eucaristia.
Ma dobbiamo abituarci tutti e non solo i praticanti, 
all'idea che il Signore viene a sua volta nella nostra casa, 
viene a bussare alla porta della nostra vita, 
viene a incontrarci nei luoghi e nei tempi della nostra esistenza quotidiana, 
viene per offrirci o per rinsaldare un vincolo di amicizia. 
Dobbiamo imparare a coniugare insieme i due aspetti: 
noi ci presentiamo alla casa del Signore per essere da lui accolti 
e però prima il Signore si presenta alla nostra casa 
per essere accolto nei luoghi della nostra esistenza.
Il bussare del Signore alla porta ha tuttavia un significato molto più grande; 
è il volerci fare partecipi del suo tempo, della sua vita, della sua eternità.
Nel secondo capitolo della Lettera siamo invitati 
a riflettere su questo fatto straordinario: 
Dio ha tempo per noi, 
bussa alla nostra porta per farci entrare nel suo tempo, 
nel suo essere. 
Tutto quanto possiamo dire sulla vigilanza cristiana, 
sulla nostra capacità di esorcizzare la morte 
per vivere in pienezza la vita, 
è fondato sul dono che Dio ci fa 
del suo tempo, del suo amore, della sua intimità.

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