venerdì 14 gennaio 2011

il desiderio di un destino buono per l’uomo sembra dimenticato

  Ore 12, in fila all’ufficio postale. Incollati al display degli “elimina-code” ecco anziani con badante, madri di famiglia cariche della spesa, due impiegate sommerse di raccomandate da spedire. Tutti ansiosi di accedere allo sportello. Un’impellicciata benpensante dal labbro rosso carminio supera la coda, sgomita, si fa strada allo sportello vantando “una fretta terribile”.
Si scatena l’uragano.
  
          Fretta, impazienza e aggressività: un ufficio postale può essere l’icona dei tempi in cui viviamo? Credo di sì. In un mondo segnato da relazioni virtuali e precarie, dalla fretta dei 3.5 Mbit/s, dall’elogio dell’alterco e della virulenza polemica, il desiderio di un destino buono per l’uomo sembra dimenticato.
          Jean Debruynne, poeta francese, l'ha fotografato in pochi, lapidari versi: «Noi siamo quelli che non amano attendere/ non amiamo attendere nelle file/ non amiamo attendere il nostro turno/ non amiamo attendere il treno/ non amiamo attendere prima di giudicare/ non amiamo attendere il momento opportuno/ non amiamo attendere un giorno ancora/ non amiamo attendere perché non abbiamo tempo/ e non viviamo che nell'istante».

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