"Conferma, o Padre, nella fede e nell'amore, la tua Chiesa, pellegrina sulla terra". Così recita la Preghiera eucaristica m, riferendosi alla realtà "pellegrinante" della Chiesa in cammino verso il regno di Dio.
La vigilanza è virtù tipica del pellegrino: attenzione alla scelta del cammino, cura di non attardarsi, prontezza nel riprendersi dopo le soste, sguardo interiore teso verso la mèta. La Lettera agli Ebrei, nel capitolo 11, passa in rassegna i grandi pellegrini dell'Invisibile, da Abele a Enoch a Noè, ad Abramo che "obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità" (v. 8), a Mosè che "per fede lasciò l'Egitto, senza temere l'ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l'invisibile" (v. 25).
La Chiesa è l'insieme di tutti questi pellegrini e deve caratterizzarsi per le virtù di scioltezza, di distacco, di prontezza a riprendersi, a convertirsi a riformarsi che sono proprie di un pellegrino. "Carissimi io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima", dice Pietro (1 Pt 2,11) ricordando le conseguenze ascetiche del sapersi in cammino verso la patria.
L'atteggiamento di interiore ed esteriore costante conversione e riforma non significa disprezzo verso le forme tradizionali del costume ecclesiastico e quelle popolari e semplici della vita dei fedeli. Riforma non significa contrapposizione tra chi la propugna e chi la subisce, tra chi si atteggia a riformatore e la persona o l'istituzione che si pensa debba essere riformata. E' invece consonanza degli uni e degli altri nel desiderare l'unico Signore: "Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!" (Ap 21,17).
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