Nella liturgia odierna abbiamo due letture collegate dal tema
quaresimale del digiuno: in entrambe si sottolinea che non è tanto
il digiuno in sé che è gradito a Dio, quanto piuttosto il modo in
cui si digiuna.
Il vangelo si apre e si chiude con una domanda che i discepoli di
Giovanni rivolgono a Cristo sul tema del digiuno: “Perché,
mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?”
(cfr v. 14). Gesù risponde che i discepoli sono gli amici dello
Sposo e che non possono digiunare finché lo Sposo è presente; ma ci
sarà un momento in cui lo Sposo sarà tolto. Quello sarà il tempo
del digiuno. Questo particolare distingue nettamente il digiuno dei
farisei e dei discepoli di Giovanni da quello dei discepoli di Gesù;
quelli digiunano in senso puramente penitenziale, questi digiunano in
senso cristologico. I discepoli di Cristo, cioè, digiunano in
relazione dello Sposo che viene tolto, e per questo un tale digiuno
ha un valore più pregnante. La privazione del cibo in se stessa non
è sufficiente, se non è accompagnata da un legame profondo con la
Passione di Cristo. Solo a questa condizione il digiuno è veramente
cristiano. Digiunare in relazione alla perdita dello Sposo
significa dare il primato alla meditazione sull’esito del ministero
terreno di Gesù. Vale a dire: è incompleto quel digiuno di cibo che
non è capace di cibarsi di Cristo. Rischia di essere soltanto
l’osservanza sterile di un precetto. Infatti, solo quando lo Sposo
viene tolto, Egli si muta in Cibo e Bevanda, e ciò si verifica nella
notte dell’Ultima Cena. Il digiuno del discepolo coincide a sua
volta con l’accoglienza di Cristo come Cibo.
Don Vincenzo Cuffaro
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