Ci sono emozioni fragili, certo, ma ci sono anche virtú fragili, virtú deboli,
come la gentilezza e la mansuetudine,
l’innocenza e la modestia,
la mitezza e la tenerezza;
e come non richiamarmi, a questo riguardo, alle considerazioni di Norberto Bobbio
in un suo bellissimo libro dedicato all’elogio della mitezza?
«Chiamo “deboli” queste virtú
non perché le consideri inferiori o meno utili e nobili, e quindi meno apprezzabili,
ma perché caratterizzano quell’altra parte della società
dove stanno
gli umiliati e gli offesi, i poveri, i sudditi che non saranno mai sovrani,
coloro che muoiono senza lasciare altro segno del loro passaggio su questa terra che una croce con nome e data in un cimitero, coloro di cui gli storici non si occupano perché non fanno storia,
sono una storia diversa, con la s minuscola,
la storia sommersa o meglio ancora la non-storia
(ma da qualche anno si comincia a parlare di una microstoria contrapposta alla macrostoria, e chi sa che nella microstoria ci sia un posto anche per loro)».
Le emozioni fragili, come le virtú deboli,
hanno in sé le stimmate lucenti e dolorose dell’umanità ferita,
ed è questa a renderle cosí umane e cosí arcane.
Eugenio Borgna
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