E’ anche la dinamica dell’amore: Nala, Rafiki amano e quindi non dimenticano, vivono non nella rassegnazione e nel rimpianto del passato ma nel sempre vivo presente dell’amore riuscendo a rimanere fedeli a se stessi e alla propria vocazione. Questo vuol dire “realizzarsi”, diventare reali, far diventare reale quel progetto di vita che sentiamo vivere dentro il nostro cuore. Con la forza di questo amore Nala e Rafiki vanno incontro a Simba e lo risvegliano, chiamandolo. Ed ora Simba, chiamato perché amato, può rispondere e dire ad alta voce il suo nome e sente, ricorda, che egli è chiamato a grandi cose: egli è “molto più di quello che è diventato”, egli può finalmente affrontare il suo passato e diventare quello che è (sempre stato).
Prendere con le proprie mani la propria vita e la propria storia non è facile e fa sempre male, come spiega a Simba Rafiki dando all’improvviso una sonora bastonata sulla sua bella testa leonina, ma il passato, se pur fa male, è anche utile, fecondo: nel momento in cui Rafiki prova a dare una seconda bastonata Simba ha appreso la lezione e schiva il colpo. “Ecco vedi?” dice Rafiki: “Dal passato puoi scappare oppure puoi imparare qualcosa”. Simba capisce: basta fughe da se stesso, basta scappare, meglio è apprendere le lezioni, anche quando sono dolorose, che la vita porta con sé. L’importante è rimanere fedeli a se stessi, realizzare quel progetto che è già inscritto in noi al momento della nascita. “Il vento sta cambiando” osserva il giovane leone e si volge pure lui, col viso determinato e indurito (un po’ come Gesù quando decide di dirigersi verso Gerusalemme), e comincia a correre. “Dove stai andando?” gli chiede Rafiki. “Sto tornando a casa!”.
Il finale del film è scontato: Simba, come Ulisse, ritorna nella sua terra e farà giustizia ridiventando quello che era sempre stato, il Re Leone.
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