Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata.
Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale, quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il concetto di " soluzione ", le risposte cristiane sono invece poco (o tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili. Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere a questioni irrisolte.
(Dietrich Bonhoeffer, da RESISTENZA E RESA,
Lettere e scritti dal carcere, edizioni paoline)
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