"Ricorda questo, che a morire non s'impara. Non s'impara. Perché la morte tradisce sempre. E' sempre nuova."Giovanni Arpino L'ombra delle colline
Da qualche parte attorno a noi esiste un'altra immagine del mondo e altri occhi per vederlo, ed è verso quel luogo che la mia storia si sta incamminando.
Il nostro inconscio non conosce la morte. Per lui siamo immortali come gli dèi mitici. O come certi personaggi seriali dell'industria culturale.
Del resto, se così non fosse, chi vivrebbe più?
Tutto il nostro realismo, come un guscio vuoto, non contempla il presente; la poesia invece è immersione nella presenza. Nulla, nemmeno la filosofia o la religione, può rendere accessibile alla ragione, in maniera compiuta, il sentimento del presente. La poesia invece può, perché non ha forma che sembri durevole, né uniformità, non è una manifestazione in apparenza comprensibile, né offre una qualunque possibilità di possesso; come tutto ciò che è semplice, dà scandalo alla mente e non è traducibile in disegni pragmatici. Proprio come il presente - che non è più passato, che non è ancora futuro - e anche come l'amore, nel quale ciò che è più concreto e più vero vuole solo il silenzio e la tensione vibrante del cuore.
Il poeta (come l'amante) parla solo quando è pronto a farlo, per attrarre l'altro nel silenzio del moto che lo attraversa.
E' allora, solo allora, che il tempo si ferma: per quell'unico, interminabile istante in cui possiamo guardare il presente faccia a faccia.
Finalmente senza averne paura. inserito da Clelia Mazzini
"...Poesia, mi confesso con te / che sei la mia voce profonda: / ho camminato sul prato d'oro / che fu il mio cuore, / ho rotto l'erba, / rovinata la terra - / poesia - quella terra / dove tu mi dicesti il più dolce / di tutti i tuoi canti... / Poesia, poesia che rimani / il mio profondo rimorso, / aiutami tu, a ritrovare / il mio alto paese abbandonato..."
Antonia Pozzi - Preghiera alla poesia - in Poesia, mi confesso con te, edizioni Viennepierre.
Percorrendo in lungo e in largo i Saggi mi sono resa conto che è praticamente impossibile trovare dove Montaigne parla precisamente di una certa cosa. I titoli, che di per sé sono molto importanti, non aiutano per niente in questo senso. I Saggi sono un testo sviluppato come un labirinto circolare, con digressioni che si moltiplicano su loro stesse. Montaigne insomma vuole che, quando io cerco qualcosa, trovi anche altro. Questo sostanzialmente per una ragione che potrei - con azzardo - definire "struttura di seduzione": l'autore non vuole cioè che io lasci il suo libro, anzi, vuole che io senta, insistentemente, il bisogno di tornarci.
Per questo mi costringe così spesso a perdermi in esso: perché non vuole perdermi...
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