Il cristiano è cittadino del cielo e la sua stessa vita è un pellegrinaggio perché egli parte dall’esilio e desidera tornare in patria e viaggia per arrivare da qualche parte per conseguire un fine (la quiete).
La meta è fondamentale ma in realtà il viaggio, quindi la strada (sentieri sassosi, pista in un deserto o autostrada) è importante non meno della meta anzi, in un certo senso, esso stesso è la meta e il punto di arrivo riveste tanti significati quanto più è stata l’attesa, meditato, desiderato.
La strada cambia anzitutto a secondo di chi la percorre, cambia molto a secondo anche se la si percorre da soli o si è accompagnati e dal tipo di compagnia. Chi dice che una pioggia ha rovinato un viaggio sbaglia perché non ne gusta il sapore come sbaglia chi afferma di essere già stato in un posto (Gerusalemme…San Pietro….Medjugorje….ecc) e di averne compreso tutto. Ogni viaggio, è una esperienza che ci fa “diversi” ci fa “altri”.
I Cristiani nei primi secoli andavano a Gerusalemme una sola volta nella vita ma per non tornare più indietro, per i Cristiani di oggi, il tornare più volte è rinnovare l’esperienza e ripetere più volte il viaggio equivale a moltiplicare le occasioni di riprendersi il tempo perduto nelle inutilità del frastuono moderno. Non si va in pellegrinaggio. Si è pellegrini: lo si è sempre e comunque.
La vita è un pellegrinaggio. I viaggi e i pellegrinaggi che facciamo nell’arco della nostra esistenza altro non sono che metafore della vita. Mettersi in viaggio vuole dire mettersi in gioco.
Si è pellegrini anche se chiusi in una stanza, se immobilizzati in poche spanne di spazio…..se il destino ti tiene fermo contro la tua volontà…..non importa, l’attesa come detto rafforza il desiderio del viaggio
Da: “Luoghi dell’Infinito” di Franco Cardini
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