« Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti e' dolce e il mio carico leggero » Matteo 11, 25-30
Siamo tutti malati.
Una malattia piuttosto strana, almeno nelle sue cause, anche se molto diffusa: la stanchezza.
C'è il peso della strada già percorsa che si fa sentire.
Il peso degli incidenti di viaggio.
Il peso delle delusioni, delle incomprensioni.
Il peso degli insuccessi.
Il peso delle persone.
Il peso di un ambiente meschino.
Il peso dell'ingiustizia.
Il peso della falsità.
Il peso della sfiducia.
Tutto ciò - e altro ancora - si accumula, si aggruma e, più che schiacciarti, ti intorpidisce, ti appanna la vista, ti svuota della tua sostanza, ti asciuga le energie.
La strada, allora, perde ogni interesse. L'unico interesse che può presentare è ormai quello di rintracciare un posticino dove adagiare la propria stanchezza.
Si è come spenti.
Non si ha più voglia di nulla, salvo la voglia di « lasciarsi andare »
Basta così.
Non vale la pena.
Non è il caso di insistere. Per quello che si ricava...
C'è ancora un senso in tutto ciò?
Che cosa si ottiene a disturbare la quiete pubblica?
Che cosa si guadagna ad essere sinceri?
Paga ancora l'onestà, il senso del dovere?
Non è il caso di insistere.
Non vale la pena di lottare per queste cose.
Meglio mettersi tranquilli.
Ne ho abbastanza.
Un'esperienza del genere è stata vissuta, molti secoli fa, dai profeta Elia. Il racconto che troviamo nell'Antico Testamento ha valore di simbolo anche per noi.
« ... Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire disse:
- Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri.
Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco, un angelo lo toccò e gli disse:
- Alzati e mangia!
Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse:
- Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti... » (1 Re 19, 4-8).
« Ora basta, Signore...
Poco oltre dirà: « Sono rimasto solo ».
Si è scavato il vuoto attorno a me.
E si sta scavando il vuoto dentro di me.
Ciascuno di noi ha a disposizione un ginepro sotto cui distendere la propria sfinitezza e addormentarsi.
Il ginepro della rassegnazione, delle abdicazioni, della mediocrità, della facilità, dell'indifferenza...
Qual è la risposta che il Signore dà alla stanchezza di Ella?
Non è una risposta consolatoria, nonostante le apparenze.
C'è, sì, un intervento che rivela la paterna preoccupazione di Dio per il suo profeta, il quale si ritrova a portata di mano una focaccia e una brocca d'acqua.
Ma c'è anche una proposta che suona provocatoria: devi percorrere tanta strada (anzi « troppa »).
E, soprattutto, il profeta che casca dal sonno, non può dormire in pace.
«~Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino ».
Dio ci libera dalla malattia della stanchezza adottando una cura decisamente insolita.
Prima di tutto, ci rivela le cause della nostra stanchezza. Ed è una scoperta per lo meno singolare.
Ci dice. Non sei stanco per ciò che hai fatto, ma per il troppo che non hai fatto.
Non sei stanco per la strada percorsa, ma per la troppa strada che ti resta da percorrere.
La tua è una stanchezza da non-affaticamento, stanchezza da eccessivo riposo, da sedentarietà assoluta.
Sei sfinito a forza di non muoverti. Spossato a furia di rimanere fermo.
La tua stanchezza è provocata non dal peso del lavoro, ma da quello del non-lavoro.
La stanchezza non ce l'hai dietro, ma... davanti.
Non è dovuta al passato, ma all'avvenire che rifiuti.
Sei stanco di ciò che non hai fatto, che non intendi fare.
Sei stanco di ciò che non intendi essere.
Sei stanco perché non hai il coraggio dei tuoi sogni.
Sei stanco perché non cammini.
E poi, sì, dopo questa sbalorditiva, scandalosa diagnosi del male, Cristo ci offre anche un ristoro:
« Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò».
Finalmente!
« ... Prendete il mio giogo sopra di voi... »Bel modo di curare la stanchezza...
Invece di alleggerirci il carico, invece di offrirci le sue carezze, il Signore ci regala il suo giogo. E anche se è « dolce », pur sempre di giogo si tratta.
Non ce la facciamo più. E Lui ci appioppa un carico supplementare, sia pure « leggero ».
E il pane?
Il pane che ti fortifica, dovresti averlo capito, è la strada.
« Io sono il pane vivo, disceso dal cielo » (Gv 6, 51), assicura Gesù.
Lui, dunque, è il pane.
Ma Lui, non dimentichiamolo, è anche la strada. « Io sono la via » (Gv 14, 6).
Dunque, mangiando Lui, noi ci nutriamo della nostra strada.
La strada diventa il nostro alimento. La strada diventa il rimedio della nostra stanchezza.
« Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino ».
(Questo Dio che non ti lascia dormire, che non ti permette di cullare in pace la tua stanchezza...).
Cammina, dunque. Più sarà lunga e impegnativa la strada che intendi percorrere, e più avrai tempo a disposizione per lasciarti dietro la stanchezza...
di Alessandro Pronzato
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