sabato 18 gennaio 2014

Noi sentiamo - in qualche momento come una fitta dell'animo - che il nostro vivere consiste proprio nell'avere tempo, e non averne più significa morire.


Non è la mancanza di tempo in quanto tale che ci assedia e ci inquieta,
e neppure la molteplicità degli impegni
che sembrano gravare su di noi o la complessità dei problemi da risolvere.
E' piuttosto la percezione del fatto
che il senso della nostra esistenza dipende strettamente dal tempo.
Noi sentiamo - in qualche momento come una fitta dell'animo -
che il nostro vivere consiste proprio nell'avere tempo,
e non averne più significa morire.
D'altra parte, nulla di ciò che di buono riusciamo a compiere o ad ottenere,
riesce a fermare il tempo, a trattenerlo in modo stabile e definitivo nella nostra vita. Tutto infatti, non appena è raggiunto,
di nuovo deve affrontare il tempo che passa:
con le sue incognite, con il declino che lo accompagna.
E' dunque il tempo stesso,
nel suo inesorabile trascorrere,
nel suo muto linguaggio di finitezza,
nel suo implacabile andare verso la fine
che genera angoscia e bisogno di fuga.
Il tempo che passa risuona in noi
come una continua rivelazione della nostra condizione di esseri limitati e avviati impietosamente senza scampo verso la morte.
Di questo, in fondo, abbiamo paura e ce ne difendiamo in tutti i modi.

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