lunedì 14 aprile 2014

35° giorno Il fatto di essere consacrati come dimora dello Spirito ci impedisce di conoscere altri sentimenti che non siano quelli ispirati all’ottimismo della fede


 Nel primo carme del servo di Yahweh notiamo che egli viene presentato in primo luogo nella sua relazione con Dio e soltanto successivamente vengono descritte quelle che sono le sue disposizioni personali nei confronti degli uomini. Si dice per prima cosa che è “servo” e che è sostenuto da Dio: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni” (Is 42,1); fin qui il profeta descrive il servo di Yahweh nelle sue relazioni con Dio. Subito dopo viene descritta la sua attitudine nei confronti degli uomini: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce” (v. 3). La scelta dell’autore di presentare il servo innanzitutto nel suo rapporto con Dio sta a significare che proprio tale rapporto di elezione e di pienezza dello Spirito produce uno stile di vita e un approccio con il mondo caratterizzato da certe scelte preferenziali che adesso metteremo in evidenza. Dobbiamo ancora osservare che il servo di Yahweh, descritto da Isaia nella sua relazione con Dio, richiama il racconto evangelico del battesimo, come pure quello della trasfigurazione. Nell’uno e nell’altro episodio, riportato dai sinottici, Cristo è presentato come l’eletto, come l’oggetto unico del compiacimento del Padre, sul quale si posa lo Spirito. Questi sono esattamente gli stessi elementi presentati nella descrizione del servo di Yahweh: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui” (v. 1).
Dopo questa presentazione del servo di Yahweh, nella sua attitudine e nella sua relazione con Dio, in seconda posizione, troviamo anche la descrizione dello stile e dell’approccio con la vita che distinguerà il suo modo di essere uomo. Il servo di Yahweh sarà capace di armonizzare due atteggiamenti difficilmente conciliabili senza un grande equilibrio umano: la mansuetudine e la fermezza: “Non griderà né alzerà il tono” (v. 2). Il Messia sceglie di essere creduto per un atto di accoglienza libera e non per una imposizione di se stesso, in forza del suo potere. Non possiamo qui sottovalutare il fatto che proprio questa è stata la scelta del Cristo storico: il suo rifiuto di usare il potere carismatico per impressionare le folle e per essere creduto si colloca in una perfetta linea di continuità rispetto al servo isaiano. Il servo di Yahweh, descritto da Isaia, annuncia già questa scelta prioritaria di uno stile che non si impone con la forza ma che aspetta di essere accettato liberamente e che attende di essere udito senza dover alzare la voce. La proposta della santità raggiunge l’uomo nei termini della libera accettazione e del confronto spontaneo. Dio cela all’uomo perfino tutte le meraviglie della santità, lasciandone trasparire soltanto poche, e lasciando intravedere soprattutto le sue asperità; anche questo è un suo divino stratagemma, perché la scelta della santità non sia fondata sulla ricerca della gloria che ne deriva, ma sull’amore di Lui, per il quale accettiamo di buon grado asperità e persecuzioni. Nello stesso tempo, questo stile di mansuetudine si coniuga con la scelta del nascondimento descritta dal suo evitare la ribalta: “Non farà udire in piazza la sua voce” (v. 2), ma agirà piuttosto in modo discreto e dolce, in modo da salvare e non rovinare del tutto ciò che sta per cadere: “Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (v. 3).
Se da un lato il servo agisce con delicatezza e mansuetudine, dall’altro egli usa la fermezza nel proclamare il diritto: “Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà” (v. 4). Se egli diventa irremovibile nel proclamare le esigenze della giustizia, ciò significa che quando si mostra mansueto è solo per scelta e non per debolezza. Di fatto il Messia, qualunque possa essere agli occhi di Isaia il suo destino terreno, ha depositato la sua causa presso Dio e la sua ultima parola non può che essere una parola definitiva di vittoria. Il Messia non si abbatterà, ma anche il popolo cristiano, che sa di essere proprietà di Dio, non si abbatte e non conosce il sentimento della paura o il pessimismo. I martiri ne hanno sempre dato una testimonianza di grande forza persuasiva. Il fatto di essere consacrati come dimora dello Spirito ci impedisce di conoscere altri sentimenti che non siano quelli ispirati all’ottimismo della fede. L’Apostolo Paolo esprimerà questo concetto in termini molto pregnanti: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). Sarà necessario dunque che il Messia come persona individuale e storica, e poi successivamente anche come popolo, viva la dimensione dell’equilibrio di tutte le virtù, perché da questo dipende la credibilità di quel diritto e di quella dottrina che viene annunciata alle nazioni da parte della comunità cristiana. La buona novella non è credibile tanto in se stessa; essa è credibile per la credibilità dei suoi testimoni.

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