La seconda lettura odierna presenta il Cristo in un rapporto
paradossale con la sofferenza: “Cristo,
nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con
forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte e fu
esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7).
Da un lato si dice che
Egli con grida e lacrime chiede di essere liberato,
dall’altro
l’autore della lettera dice che fu liberato.
Ma come fu liberato se
noi oggi celebriamo proprio il suo passaggio attraverso il dolore?
La
liberazione cristiana deve essere compresa nel modo giusto,
altrimenti rischiamo di averne un concetto impoverito e, di
conseguenza, rischiamo anche di farne un’esperienza impoverita.
La
rinascita e la liberazione cristiana si collocano a diversi livelli
della nostra vita, perché a diversi livelli della nostra personalità
abbiamo bisogno di essere guariti.
La prima e più fondamentale
guarigione è la caduta di tutte quelle forze che rallentano o che
impediscono la nostra risposta a Dio.
Negli altri settori il Signore
si riserva di agire con noi in modo diverso. Infatti: mentre nel
settore dello spirito, laddove c’è una catena che ci impedisce di
rispondere alla grazia, la guarigione si realizza nella distruzione
della catena che ci tiene legati, in altri settori il male non viene
eliminato, perché è utile alla nostra santificazione.
Vi sono
infatti delle sofferenze fisiche o morali che non vengono eliminate,
perché dalla loro paziente sopportazione, e dalla loro offerta,
dipende la crescita e la guarigione di tutta la Chiesa.
Per esse,
talvolta, non è opportuno chiedere o pretendere una guarigione
intesa come la rimozione del male: come Cristo è stato liberato
dalla morte senza tuttavia evitarla, così ci sono determinate
guarigioni che avvengono proprio attraverso il dolore. Certe
sofferenze ci fanno maturare, altre frantumano inutili zavorre che
rallentano in noi l’opera della grazia. Noi ci giochiamo tutto nel
modo in cui affrontiamo la sofferenza. Nel momento in cui siamo
capaci di attraversare la sofferenza fisica o morale, unendola alla
celebrazione eucaristica, come un’offerta assorbita nella lode
perenne che da Cristo sale al Padre, allora viviamo davvero
un’esperienza di profonda guarigione.
Tale esperienza non è
soltanto per noi ma anche per la Chiesa.
Infatti non è affatto vero
che edificano la Chiesa soltanto quelli che svolgono in essa un
servizio pratico e visibile; edificano la Chiesa anche gli ammalati
delle nostre parrocchie, che offrono la loro vita, e nell’Eucaristia
la trasformano in un sacrificio di lode; edificano la Chiesa tutti
quegli uomini e quelle donne che crescono nella fede, nella speranza
e nella carità. Cristo ci ha affidato il ministero di guarire la
Chiesa dalle sue piaghe valorizzando il dono di grazia della Parola e
dell’Eucaristia che Lui continuamente ci elargisce. Se noi
cresciamo nella santità, anche se non abbiamo fatto nulla di
visibile e di lodevole, possiamo e dobbiamo avere l’assoluta
certezza che tutta la Chiesa cresce con noi. Naturalmente, con questo
non si nega il valore del servizio concreto e della carità operosa.
Queste linee teologiche e sapienziali formano come una premessa e una
chiave di lettura al racconto della Passione secondo Giovanni.
Don Vincenzo Cuffaro
Nessun commento:
Posta un commento