venerdì 18 aprile 2014

39° giorno Vi sono infatti delle sofferenze fisiche o morali che non vengono eliminate, perché dalla loro paziente sopportazione, e dalla loro offerta, dipende la crescita e la guarigione di tutta la Chiesa.


 La seconda lettura odierna presenta il Cristo in un rapporto paradossale con la sofferenza: “Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte e fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7). 
Da un lato si dice che Egli con grida e lacrime chiede di essere liberato, 
dall’altro l’autore della lettera dice che fu liberato. 
Ma come fu liberato se noi oggi celebriamo proprio il suo passaggio attraverso il dolore? 
La liberazione cristiana deve essere compresa nel modo giusto, altrimenti rischiamo di averne un concetto impoverito e, di conseguenza, rischiamo anche di farne un’esperienza impoverita. 
La rinascita e la liberazione cristiana si collocano a diversi livelli della nostra vita, perché a diversi livelli della nostra personalità abbiamo bisogno di essere guariti. 
La prima e più fondamentale guarigione è la caduta di tutte quelle forze che rallentano o che impediscono la nostra risposta a Dio. 
Negli altri settori il Signore si riserva di agire con noi in modo diverso. Infatti: mentre nel settore dello spirito, laddove c’è una catena che ci impedisce di rispondere alla grazia, la guarigione si realizza nella distruzione della catena che ci tiene legati, in altri settori il male non viene eliminato, perché è utile alla nostra santificazione. 
Vi sono infatti delle sofferenze fisiche o morali che non vengono eliminate, perché dalla loro paziente sopportazione, e dalla loro offerta, dipende la crescita e la guarigione di tutta la Chiesa. 
Per esse, talvolta, non è opportuno chiedere o pretendere una guarigione intesa come la rimozione del male: come Cristo è stato liberato dalla morte senza tuttavia evitarla, così ci sono determinate guarigioni che avvengono proprio attraverso il dolore. Certe sofferenze ci fanno maturare, altre frantumano inutili zavorre che rallentano in noi l’opera della grazia. Noi ci giochiamo tutto nel modo in cui affrontiamo la sofferenza. Nel momento in cui siamo capaci di attraversare la sofferenza fisica o morale, unendola alla celebrazione eucaristica, come un’offerta assorbita nella lode perenne che da Cristo sale al Padre, allora viviamo davvero un’esperienza di profonda guarigione. 
Tale esperienza non è soltanto per noi ma anche per la Chiesa. 
Infatti non è affatto vero che edificano la Chiesa soltanto quelli che svolgono in essa un servizio pratico e visibile; edificano la Chiesa anche gli ammalati delle nostre parrocchie, che offrono la loro vita, e nell’Eucaristia la trasformano in un sacrificio di lode; edificano la Chiesa tutti quegli uomini e quelle donne che crescono nella fede, nella speranza e nella carità. Cristo ci ha affidato il ministero di guarire la Chiesa dalle sue piaghe valorizzando il dono di grazia della Parola e dell’Eucaristia che Lui continuamente ci elargisce. Se noi cresciamo nella santità, anche se non abbiamo fatto nulla di visibile e di lodevole, possiamo e dobbiamo avere l’assoluta certezza che tutta la Chiesa cresce con noi. Naturalmente, con questo non si nega il valore del servizio concreto e della carità operosa.
Queste linee teologiche e sapienziali formano come una premessa e una chiave di lettura al racconto della Passione secondo Giovanni.
Don Vincenzo Cuffaro

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