Il brano
della prima lettura apre la liturgia odierna con una descrizione
profetica del Messia. L’analogia più importante e significativa
per la vita cristiana,
tra il racconto di Isaia e la Passione di
Cristo,
è la disposizione del discepolato,
che in entrambi i testi,
fonda e conferisce valore alla sofferenza.
Il testo di Isaia,
infatti, pone l’accento sulla disposizione di discepolato che
infonde significato e valore a qualunque forma di sofferenza che
l’uomo possa sperimentare nell’ordine fisico o morale: “Il
Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia
indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il
mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli” (vv. 4-5).
Il riferimento all’apertura dell’orecchio,
intesa come la
capacità di ascoltare la parola di Dio tipica dei discepoli, viene
premessa dall’autore alla descrizione dei dolori del servo di
Yahweh.
In primo luogo, il servo di Dio è un discepolo, un uomo che
ogni mattina si pone in ascolto come fanno gli iniziati e, solo
successivamente, in forza della sua capacità di ascolto che lo
costituisce discepolo, egli può presentare: “il
[…] dorso ai flagellatori”, può consegnare “la
faccia agli insulti e agli sputi” (v. 6), senza tuttavia
rimanere confuso: “Il Signore
Dio mi assiste, per questo non resto svergognato […] sapendo di non
restare confuso” (v. 7).
Dietro questa espressione: “sapendo
di non restare confuso”,
l’autore intende indicare il
significato positivo della sofferenza del servo di Yahweh, laddove
nell’AT la percezione dell’essere confusi,
la perdita
dell’orientamento è la caratteristica degli empi, di coloro che
impostano la vita a sistema chiuso vivendo in maniera difforme al
vangelo.
Nonostante il colpo del flagello, gli insulti e gli sputi,
l’uomo che vive nella fedeltà quotidiana alla parola di Dio,
rimane fermo, incrollabile contro qualunque urto.
Il libro
dell’Apocalisse esprimerà la stessa verità in altri termini:
erroneamente crediamo di essere noi i custodi della parola di Dio,
ma
è la Parola a custodire noi (cfr. Ap 22,7; Sap 6,10), dal momento
che Dio è presente in Essa in modo vivo ed attuale, così come lo è
nell’Eucaristia.
Quando si entra nel discepolato e si osserva la
parola di Dio, Essa si pone come scudo contro ogni male che colpisce
il discepolo, rendendolo capace di restare in piedi, quando tutto
intorno a lui sta crollando.
Il discepolato autentico, l’ascolto
quotidiano e non sporadico, meno che mai un ascolto compiuto una
volta per tutte,
permette a qualunque esperienza di dolore di
acquistare un risvolto di luce.
Ogni sofferenza conseguente al
discepolato diventa preziosa agli occhi di Dio e fiorisce in una
nuova realtà, diventa la forza di fecondità che si estende
misteriosamente, per la via della grazia, nell’intero corpo della
Chiesa risanando, guarendo le sue ferite, sostenendola nelle sue
lotte e nelle sue prove.
Don Vincenzo Cuffaro
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