Il testo odierno della prima lettura presenta la figura
di Pietro immediatamente dopo l’effusione dello Spirito Santo, nel
giorno di Pentecoste, e descrive al contempo quali debbano essere le
caratteristiche fondamentali della maturità della comunità
cristiana. La figura di Pietro è infatti l’immagine del cristiano
che ha raggiunto la pienezza dello Spirito: “Pietro,
levatosi in piedi, parlò a voce alta” (v. 14). A differenza
del passato, e specialmente durante gli eventi della Passione, quando
lo stesso Pietro aveva cercato di nascondersi e aveva sperimentato la
paura e il rinnegamento del Maestro, ora, dinanzi a un’assemblea
radunata, è capace di esprimersi con la chiarezza e con la fermezza
tipiche dell’uomo corroborato dallo Spirito. Comprendiamo da questa
figura come siano incompatibili stati d’animo quali la timidezza,
la paura, il senso di inutilità e di insufficienza, con una vita
vissuta nella pienezza dello Spirito, che infatti non è Spirito di
timidezza ma di forza. La paura è il fenomeno interiore che indica
il grado di immaturità cristiana. Il cristiano maturo sa di avere
dinanzi a sé la verità di Cristo, di cui essere testimone, e di
tutto il resto non si cura; perfino della propria stessa vita il
cristiano maturo si cura poco, essendo uno che ha rinunciato a se
stesso. L’Apostolo Paolo, prima di partire da Efeso, conoscendo per
via di cognizione profetica che quello sarebbe stato il suo ultimo
viaggio, si rivolge agli anziani di Efeso dicendo: “Io
non reputo la mia vita meritevole di nulla” (At 20,24). Il
totale decentramento della propria personalità è la tappa più
fondamentale della maturazione cristiana. Un eccessivo riferimento a
se stessi e un’eccessiva preoccupazione per la propria vita sono
segni inequivocabili che la maturità della fede è ancora lontana.
Don Vincenzo Cuffaro
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