La liturgia odierna pone
in parallelo i discepoli di Emmaus, che incontrando il Risorto
guariscono dalla loro incredulità, e lo storpio del Tempio, che
incontrando gli Apostoli guarisce dalla sua paralisi. Si tratta di
due guarigioni che alludono alla vita piena che Dio offre in Cristo
all’uomo di ogni luogo e di ogni tempo.
Lo
storpio della Porta Bella è una figura ricca di significati relativi
alla vita cristiana. I versetti chiave della pericope sono di grande
valore per le allusioni a cui rimandano. La descrizione dell’incontro
tra lo storpio e gli Apostoli colpisce il lettore per il fatto che il
mendicante chiede molto meno di quanto gli Apostoli gli possano dare.
Ricorda quel contadino di una storia che ho udito qualche tempo fa,
il quale ebbe il privilegio raro, peraltro atteso a lungo, di essere
ricevuto in udienza dal suo re. E cosa gli chiese, quando fu davanti
al trono? Un quintale di letame per i suoi campi. Anche lo storpio
della Porta Bella sembra un contadino alla corte di un re: potendo
chiedere grandi ricchezze, si limita a chiedere solo del letame:
“Vedendo Pietro e Giovanni che
stavano per entrare nel Tempio, domandò loro l’elemosina”
(v. 3). Pietro gli risponde immediatamente, dandogli il bene prezioso
della salute, che lo storpio non si attendeva, attendendosi invece
pochi spiccioli: “Non posseggo
né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, cammina!” (v. 6). Dietro l’immagine
di questo storpio è possibile intravedere l’interiore paralisi di
coloro i quali, al loro parroco, chiedono solo certificati e timbri,
oppure messe di suffragio e sacramenti vari. Ma la cosa più
importante, quella per la quale i sacerdoti esistono, non viene
chiesta; pochi vanno dal loro parroco a dire: “Mostrami la via che
Dio ha stabilito per me, aiutami a scoprirla e a percorrerla”. Di
solito, si chiede tutt’altro, si chiede un quintale di cose
secondarie.
Don Vincenzo Cuffaro
Nessun commento:
Posta un commento