Il contrasto, risolto dalla fede, si gioca tra la
moltitudine e l’unità: “pur
essendo molti - dirà l’apostolo Paolo -
siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5). Gli Atti, anche
prima di questo capitolo, hanno posto l’accento sul fatto che la
novità della rinascita consiste in una umanità che ritrova la sua
unità profonda. Il capitolo 2 degli Atti è in un certo modo
parallelo al capitolo 4; nel capitolo 2, dove si narra l’evento
della Pentecoste, accade che l’annuncio di Pietro, sebbene
formulato nella sua lingua madre (l’aramaico) è compreso da tutti
e da ciascuno nella propria lingua. Aldilà del carisma della
glossolalia, tutto questo dimostra come nei processi della
comunicazione umana noi non ci comprendiamo reciprocamente per il
fatto d’esprimerci in una lingua nella quale usiamo tutti le stesse
parole. L’intesa e la comprensione non derivano da questo: è lo
spirito delle parole, lo spirito nel quale sono pronunciate le
parole, ciò che ci permette di comprenderci o di rimanere stranieri
usando le stesse parole. Il fatto di utilizzare un vocabolario comune
non è garanzia di comprensione e d’intesa reciproca, tanto è vero
che, alla presenza di linguaggi diversi, nel giorno di Pentecoste
tutti comprendono: è lo Spirito che unisce e che crea un canale di
comunicazione invisibile ed interiore; per questo le parole diventano
efficaci, e la comprensione profonda diventa finalmente possibile.
Don Vincenzo Cuffaro
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