Chi
ha impostato la sua vita in modo da non aver bisogno della complicità
delle tenebre, è spontaneamente e dolcemente attirato dalla luce:
“chi opera la verità, viene
alla luce” (v. 21). Notiamo qui anche un’opposizione
tipicamente giovannea: “chiunque
fa il male… chi opera la verità”. Ci si sarebbe aspettati
che il secondo termine fosse “chi
opera il bene”. Per Giovanni, infatti, il termine che si
oppone al “male”, non è il “bene” ma la verità. Tra
l’altro, la verità riguarda l’operare e non il conoscere
o il dire: “chi opera la
verità”. Questo fa certamente saltare tutte le nostre
categorie moderne, dove la verità “si dice” e il bene “si fa”.
Per Giovanni la verità “si fa”. Ciò significa che “essere
veri” conta di più che “dire il vero”. Si potrebbe conoscere
il vero con esattezza e dire il vero con altrettanta esattezza, senza
che ciò abbia alcuna influenza sulla propria vita. E’ la
condizione dei farisei che si sono seduti sulla cattedra di Mosè:
essi “dicono” il vero, ma non sono capaci di “essere veri”
(cfr. Mt 23,1-3). Così molti si illudono di essere sinceri, solo
perché dicono quello che pensano, ma non riflettono sul fatto che se
la vita non è illuminata dalla grazia, anche il pensiero si oscura.
E con esso la parola che pretende di essere “sincera”. Giovanni
dice che la verità “si fa”, perché solo chi vive nella luce,
pronuncia parole di luce. Tutti gli altri, pur essendo sinceri, non
fanno che comunicare il buio che hanno dentro.
Don Vincenzo Cuffaro
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