In questi giorni incontro commenti/lectio che formano un'eco profonda nella mia anima. Ho incontrato questa risposta di padre Ermes che, parlando del modo con cui avrebbe affrontato la predicazione degli esercizi, definisce le caratteristiche che trovo nelle mie frequentazioni quotidiane della Parola. E poi, quanto vorrei che anche le mie parole fossero sempre guidate dalle qualità espresse nell'impegno che padre Ermes si è dato.
D.- Il Papa tiene molto alle omelie dei sacerdoti, dice che devono essere chiare, semplici, brevi ... e che la gente le capisca…
R. di Ermes Ronchi–
Questo coincide con il ricordo che io ho della mia prima Messa, quando io chiesi al mio papà:
“Come devo predicare alla gente del mio paese?”.
E lui mi rispose in lingua friulana: "Pocjis e che si tocjin", poche parole, ma semplici e concrete.
E allora io ho capito da lì
che la Parola deve essere incarnata,
che si possa toccare,
che abbia toccato,
che abbia inciso, graffiato.
Mi sono dato questo impegno:
non dire mai una parola che prima non abbia fatto soffrire o gioire me,
altrimenti non è incarnata e
non raggiunge nessuno.
E poi credo, come secondo criterio fondamentale,
la semplicità:
non elucubrare grandi pensieri teorici ma far capire che siamo immersi in un mare d’amore e non ce ne rendiamo conto.
La terza cosa è la bellezza.
La bellezza per me è un nome di Dio.
E la quarta cosa è la positività: sempre positivi, sempre creativi di speranza, il Vangelo è positivo, basta solo leggere la sua etimologia.
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