Quando capita qualche episodio di prevaricazione in classe, io e qualche mio collega ne abbiamo sempre parlato in classe, abbiamo abituato dal primo giorno i ragazzi a “dare risposte” a dire perché avevano detto o fatto qualcosa che aveva anche solo offeso un loro compagno. Li abbiamo abituati a "guardarsi negli occhi", a fare i conti con quel "volto" dell'altro di cui parla tanto Levinas. Un lavoro attento e continuo che ha sempre dato risultati molto incoraggianti, che sono l'inizio di un'educazione civica praticata nella vita e non solo ridotta a vuote nozioni.
L’altro giorno una ragazza che ha ormai terminato la scuola media, ha parlato con una mia collega e ha denunciato che nella sua classe, in un liceo scientifico rinomato per essere “ben frequentato”, un suo compagno era oggetto di continue prese in giro di compagni e a volte di piccoli e grandi atti di aggressione. Le ha chiesto “cosa posso fare?”. La mia collega le ha consigliato di cercare tra i suoi insegnanti uno che fosse disponibile a parlarne, ad affrontare il problema.
Tre giorni dopo la risposta via mail della ragazza: “Cara professoressa, ho parlato con tutti i miei insegnanti, tutti, dico tutti, mi hanno detto che non avevano tempo di affrontare problemi che riguardavano i nostri rapporti, che dovevamo arrangiarci perché loro devono andare avanti col programma. Non mi scoraggio: l’unica cosa che posso, però, fare è stargli sempre vicino io”.
Mi chiedo chi siamo noi adulti per poter dire di "no" alla richiesta di una ragazza che chiede aiuto per un suo compagno in difficoltà? Mi chiedo come possiamo sentirci ancora "educatori"? E di che cosa è fatto questo tempo che non si deve perdere? Dove scappa? E che cosa è questo "programma" che scandisce la nostra tabella di marcia come fossimo soldatini che obbediscono tanto da non poter soccorrere nessuno, perchè bisogna andare "avanti". Avanti verso dove? Forse verso una società sempre più indifferente soprattutto verso i giovani di cui si parla tanto, ma con cui si parla pochissimo. Come dice la Vegetti Finzi: "Viviamo in quella che è stata definita la «società degli individui», una comunità dove non si è mai isolati ma sempre soli".
Da tempo vado in giro a parlare di scuola e vi assicuro che quello che si sente in giro è sconfortante. Vi invito anche ad andare a leggere quello che ha scritto in un post La signora in rosso. E come dice lei, anche io "Questa Italia non la voglio".
Non solo manca materiale didattico, ci sono stati tagli e quant’altro, quello che oggi è molto carente è quell’umanità che sola ci potrebbe salvare, come dice Hanna Arendt in “Tempi bui”.
Ma di questa carenza di "umanità" pochi ne parlano.
L’altro giorno una ragazza che ha ormai terminato la scuola media, ha parlato con una mia collega e ha denunciato che nella sua classe, in un liceo scientifico rinomato per essere “ben frequentato”, un suo compagno era oggetto di continue prese in giro di compagni e a volte di piccoli e grandi atti di aggressione. Le ha chiesto “cosa posso fare?”. La mia collega le ha consigliato di cercare tra i suoi insegnanti uno che fosse disponibile a parlarne, ad affrontare il problema.
Tre giorni dopo la risposta via mail della ragazza: “Cara professoressa, ho parlato con tutti i miei insegnanti, tutti, dico tutti, mi hanno detto che non avevano tempo di affrontare problemi che riguardavano i nostri rapporti, che dovevamo arrangiarci perché loro devono andare avanti col programma. Non mi scoraggio: l’unica cosa che posso, però, fare è stargli sempre vicino io”.
Mi chiedo chi siamo noi adulti per poter dire di "no" alla richiesta di una ragazza che chiede aiuto per un suo compagno in difficoltà? Mi chiedo come possiamo sentirci ancora "educatori"? E di che cosa è fatto questo tempo che non si deve perdere? Dove scappa? E che cosa è questo "programma" che scandisce la nostra tabella di marcia come fossimo soldatini che obbediscono tanto da non poter soccorrere nessuno, perchè bisogna andare "avanti". Avanti verso dove? Forse verso una società sempre più indifferente soprattutto verso i giovani di cui si parla tanto, ma con cui si parla pochissimo. Come dice la Vegetti Finzi: "Viviamo in quella che è stata definita la «società degli individui», una comunità dove non si è mai isolati ma sempre soli".
Da tempo vado in giro a parlare di scuola e vi assicuro che quello che si sente in giro è sconfortante. Vi invito anche ad andare a leggere quello che ha scritto in un post La signora in rosso. E come dice lei, anche io "Questa Italia non la voglio".
Non solo manca materiale didattico, ci sono stati tagli e quant’altro, quello che oggi è molto carente è quell’umanità che sola ci potrebbe salvare, come dice Hanna Arendt in “Tempi bui”.
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