La Parola odierna
anticipa già i temi della Settimana Santa, attraverso il brano
evangelico di Matteo, dove Cristo fa esplicito riferimento al calice
che dovrà bere; l’immagine del calice è ovviamente simbolo del
destino della persona, ciò che è scritto e che deve compiersi.
Anche il testo del profeta Geremia affronta il tema biblico della
sofferenza del giusto, sofferenza che nasce stranamente proprio dalle
radici della sua stessa giustizia. I nemici del profeta complottano
contro di lui, a motivo delle sue parole, vale a dire, a motivo del
messaggio che la sua vita trasmette, un messaggio impregnato di
fedeltà alla Parola di Dio, annunciata ma soprattutto personificata,
testimoniata fino in fondo con la propria vita. La sofferenza del
giusto è un mistero più volte sottolineato nell’esperienza dei
profeti, i quali si trovano dinanzi alla imprevedibile chiusura di
Israele, quando essi trasmettono fedelmente la Parola di Dio, pagando
di persona. Altrettanto imprevedibilmente trovano maggiore ascolto i
falsi profeti, che di solito annunciano cose gradevoli. Il tema del
giusto sofferente viene poi ampiamente sviluppato dalla letteratura
sapienziale. Questo mistero del dolore che colpisce l’uomo giusto,
in Cristo si compie totalmente, giungendo all’ultimo confine
possibile: la soppressione dell’unico Giusto; i profeti
perseguitati sono soltanto delle figure del Cristo perseguitato e
colpito dall’iniquità umana. Il profeta Geremia, nel testo della
prima lettura odierna, assume perciò i tratti anticipati del Messia
sofferente. Come Cristo, anche se in modo meno perfetto e con un
animo non esente da un certo quale desiderio di vendetta (come si
vede dai versetti successivi che i liturgisti hanno tralasciato),
Geremia rimette a Dio la propria causa e attende da Lui il soccorso.
Dall’altro lato, i nemici del profeta si illudono che sopprimendo
un giusto non debba cambiare nulla: “la
legge non verrà meno ai sacerdoti, né il consiglio ai saggi, né
l’oracolo ai profeti”. In realtà, come viene chiarito
dall’insegnamento evangelico, chi espelle dalla propria vita l’uomo
di Dio, espelle Dio stesso, col rischio di sperimentare la più
totale solitudine. Infatti non esiste solitudine peggiore di quella
di chi non ha Dio come amico.
Don Vincenzo Cuffaro
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