domenica 16 marzo 2014

Nel brano odierno viene descritto ciò che può considerarsi come il modello tipologico di ogni cammino di fede, cioè lo schema di riferimento per ogni vera esperienza di Dio


 Il testo di Genesi costituisce l’inizio della storia di Abramo, 
una storia che comincia con una vocazione: 
In quei giorni, il Signore disse ad Abram: 
<<Vattene dalla tua terra, 
dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, 
verso la terra che io ti indicherò […]>>” (v. 1). 
Significativamente prima di questo momento non si sa nulla di Abramo; 
la sua storia, infatti, non comincia con la sua nascita 
ma con la sua vocazione e il suo incontro con il Signore. 
Anzi, dovremmo più precisamente dire che è Dio a incontrarlo, 
perché Abramo non è capace di rivolgersi a Dio per primo, come del resto nessun uomo: 
l’iniziativa è sempre del Signore. 
In termini un po’ ermetici 
lo stesso concetto ci viene presentato dall’Apocalisse, 
quando parla di Cristo 
come “Colui che è, che era e che viene” (1,8); 
non dice “Colui che è, che era e che sarà”, 
proprio perché Dio è continuamente proiettato verso di noi per incontrarci. 
E quando Lui ci incontra, 
comincia la nostra storia. 
La storia personale di Abramo, nella fase anteriore al momento della sua vocazione, 
non ha nessun valore per la Bibbia. 
Quando il Signore si svela ad Abramo, 
per invitarlo a iniziare una nuova fase della sua vita, 
egli ha già settantacinque anni e si può dire che è passata una vita. 
Eppure di essa la Bibbia non ci dice nulla, 
come se non avesse alcun interesse per quegli anni 
che erano trascorsi fuori dall’alleanza con Dio, 
e perciò vissuti nella non conoscenza di Lui.
Nel brano odierno viene descritto ciò che può considerarsi 
come il modello tipologico di ogni cammino di fede, 
cioè lo schema di riferimento per ogni vera esperienza di Dio. 
Il Signore, rivolgendosi ad Abramo, per prima cosa, 
gli impedisce di rimanere in una posizione statica, 
vincolato al proprio passato: 
Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”. 
Se Dio è continuamente proiettato verso di noi in un movimento perenne d’amore, anche l’uomo è invitato a fare altrettanto, perché nessuno può incontrare Dio stando fermo. Ad Abramo viene chiesto un dinamismo di ubbidienza, un movimento interiore ed esteriore che somiglia a una condizione perenne di pellegrinaggio. Abramo è infatti figura di colui che è “straniero” in questo mondo. Per incontrare Dio, egli deve muoversi, camminare senza fermarsi; non, però, sulla base di una mappa ragionevole e chiara in tutti i suoi passaggi, bensì su una parola che è una promessa: 
verso la terra che io ti indicherò”. Il Signore non gli dice quale sia questa terra, o dove si trovi, né quando ci arriverà. Gli dice soltanto che, a suo tempo, gliela indicherà. Un movimento di ubbidienza e una fiducia incondizionata nella parola della promessa, sono quindi le prime cose che Dio gli chiede; 
Abramo di fatto risponde a Dio con una ubbidienza pronta, 
senza sovrapporre le sue riflessioni umane: 
Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore” (v. 4).
Ma c’è ancora un altro elemento senza il quale non può esistere alcun cammino di fede, 
e che gli è ugualmente richiesto, ed è la presa di distanza dal suo passato
Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”. Non è possibile camminare liberi con Dio, se si rimane legati al proprio passato, alla propria casa, alla propria storia. 
La nostalgia è il sentimento più ostile e più contrario ad una vita vissuta nello Spirito: 
impedisce di apprezzare le cose nuove che Dio fa nascere ogni giorno sotto i nostri occhi. 
Essa suscita anche la sensazione falsa, e gravemente ingannevole, 
che il passato, o alcuni momenti particolari di esso, sia stato migliore del presente. 
Il libro di Qoelet afferma giustamente che chi ragiona così è uno stolto (cfr. 7,10). 
Chi ritiene che il passato sia stato migliore del presente, 
accusa Dio di essere un cattivo regista della nostra vita, 
e non capisce che ogni giorno che trascorre 
è ricco di una grazia in più che il giorno prima non aveva. 
Ogni giorno, 
infatti, lo Spirito aggiunge una pennellata di perfezione alla sua opera e un maggiore ingresso nella sua intimità, se non ci si irrigidisce con l’atteggiamento del giudizio, della sfiducia e del ripiegamento. 
Semmai, si dovrebbe accusare se stessi di avere sciupato il tempo presente 
e la grazia di santità in esso elargita. 
Ma il passato non potrebbe essere considerato migliore del presente neppure nell’ipotesi che uno abbia valorizzato il dono di grazia nel passato e lo abbia sciupato nel presente. In realtà, chi sciupa la grazia del presente perde anche quella del passato, perché il demonio agisce come un ladro: quando entra in casa, non ruba solo i mobili acquistati di recente, ma può mettere le mani anche su quelli acquistati molti anni or sono. Contestualmente, va detto pure che è vero anche il contrario: chi dice “sì” al Signore oggi, e si converte a Lui, recupera tutti i doni di grazia che la divina condiscendenza gli aveva preparato, anche quelli ricevuti e non accolti nel passato. Insomma, l’idea teologica che ci sta dietro è che il peccato grave può far perdere in un solo atto lo stato di grazia, e che la sottomissione a Dio, compiuta con un atto irrevocabile, restituisce la grazia a chi l’aveva perduta.
Tornando ad Abramo, i settantacinque anni vissuti nella non conoscenza di Dio non sono degni di essere narrati dalla Bibbia. 
Nel momento della vocazione, anche lui è invitato a dimenticare tutte le esperienze vissute senza Dio. Va notato che, prima ancora di dirgli che c’è una meta e un paese che gli verrà indicato, Dio lo invita a prendere le distanze dalle proprie origini e dal proprio passato: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”. E solo dopo aggiunge: “verso la terra che io ti indicherò”. Ciò vuol dire che si cammina verso le promesse di Dio, se si diventa liberi da ogni altra realtà, e soprattutto se si rinuncia ai progetti personali per ricevere da Dio un’altra famiglia e un’altra città. Se l’uomo è capace di vivere così, diventa una benedizione, con effetti benefici che si estendono ben aldilà della nostra immaginazione: “Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione” (v. 2). Tutti coloro che sanno superare i confini ristretti del proprio mondo, e sulla parola delle promesse divine si mettono in cammino verso una meta sconosciuta, diventano una benedizione, destinata a raggiungere l’umanità intera: “in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (v. 3). Sembra di sentire l’eco delle parole rivolte dal Signore a Santa Faustina, che contengono un significativo insegnamento valido per tutti i battezzati: “Sappi, figlia Mia, che se tendi alla perfezione, porterai alla santità molte anime, ma se non tendessi alla santità, per ciò stesso molte anime rimarrebbero imperfette. Sappi che la loro perfezione dipenderà dalla tua perfezione e la maggior parte della loro responsabilità ricadrà sopra di te”.“diventerai una benedizione”: 
vale a dire che la persona stessa di Abramo diventa un canale di grazia, non tanto le sue singole opere. Così la benedizione divina passa attraverso Abramo non tanto in base a ciò che lui fa, bensì in base a ciò che lui è. È insomma la crescita personale nello Spirito, e non le iniziative dei singoli battezzati, ciò che rende la Chiesa più bella e più ricca.
In forza della fede, Abramo acquista un duplice livello di fecondità. Ci sono infatti due discendenze che prendono vita da lui: la discendenza fisica, da cui nascerà il popolo di Israele secondo la carne, e la discendenza spirituale, da cui nascerà il nuovo Israele secondo lo Spirito: una moltitudine di figli che, come lui, vivono lasciandosi guidare dalla fede. Il Signore non vuole la sterilità dell’uomo, ma si può essere fecondi solo se si riceve la sua benedizione. Essa è collegata alla fondamentale disponibilità a uscire dal proprio paese, tagliare i ponti con le proprie radici genealogiche, prendere le distanze dal proprio passato e dalla propria storia, e proiettarsi fiduciosi verso il futuro, in un dinamismo di ubbidienza ininterrotto, in cui si ha non un progetto chiaro e definito, ma semplicemente una promessa, di cui solo Dio conosce in anticipo tutti i particolari: “verso la terra che io ti indicherò”.
Infine, vi sono altri due versetti chiave da mettere in evidenza, ma lo faremo in modo sobrio, senza commentarli per esteso, lasciando al lettore di farlo per conto proprio. La benedizione di Dio è sufficiente a proteggere l’uomo da ogni male: “Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò” (v. 3). Vale a dire: il cammino di fede, che è un pellegrinaggio verso il conseguimento delle promesse di Dio, non è mai esente da pericoli e combattimenti. Il Signore dice ad Abramo di non cercare altre difese, perché la sua difesa è Dio stesso, e la divina benedizione è il suo scudo (cfr. anche Gen 15,1).
Don Vincenzo Cuffaro

Nessun commento:

Posta un commento