Il testo di Genesi costituisce l’inizio della storia di Abramo,
una
storia che comincia con una vocazione:
“In
quei giorni, il Signore disse ad Abram:
<<Vattene dalla tua
terra,
dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre,
verso la terra
che io ti indicherò […]>>” (v. 1).
Significativamente prima di questo momento non si sa nulla di Abramo;
la sua storia, infatti, non comincia con la sua nascita
ma con la sua
vocazione e il suo incontro con il Signore.
Anzi, dovremmo più
precisamente dire che è Dio a incontrarlo,
perché Abramo non è
capace di rivolgersi a Dio per primo, come del resto nessun uomo:
l’iniziativa è sempre del Signore.
In termini un po’ ermetici
lo
stesso concetto ci viene presentato dall’Apocalisse,
quando parla
di Cristo
come “Colui che è,
che era e che viene” (1,8);
non dice “Colui che è, che
era e che sarà”,
proprio perché Dio è continuamente proiettato
verso di noi per incontrarci.
E quando Lui ci incontra,
comincia la
nostra storia.
La storia personale di Abramo, nella fase anteriore al
momento della sua vocazione,
non ha nessun valore per la Bibbia.
Quando il Signore si svela ad Abramo,
per invitarlo a iniziare una
nuova fase della sua vita,
egli ha già settantacinque anni e si può
dire che è passata una vita.
Eppure di essa la Bibbia non ci dice
nulla,
come se non avesse alcun interesse per quegli anni
che erano
trascorsi fuori dall’alleanza con Dio,
e perciò vissuti nella non
conoscenza di Lui.
Nel brano
odierno viene descritto ciò che può considerarsi
come il modello
tipologico di ogni cammino di fede,
cioè lo schema di riferimento
per ogni vera esperienza di Dio.
Il Signore, rivolgendosi ad Abramo,
per prima cosa,
gli impedisce di rimanere in una posizione statica,
vincolato al proprio passato:
“Vattene
dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”.
Se Dio è continuamente proiettato verso di noi in un movimento
perenne d’amore, anche l’uomo è invitato a fare altrettanto,
perché nessuno può incontrare Dio stando fermo. Ad Abramo viene
chiesto un dinamismo di ubbidienza, un movimento interiore ed
esteriore che somiglia a una condizione perenne di pellegrinaggio.
Abramo è infatti figura di colui che è “straniero” in questo
mondo. Per incontrare Dio, egli deve muoversi, camminare senza
fermarsi; non, però, sulla base di una mappa ragionevole e chiara in
tutti i suoi passaggi, bensì su una parola che è una promessa:
“verso
la terra che io ti indicherò”.
Il Signore non gli dice quale sia questa terra, o dove si trovi, né
quando ci arriverà. Gli dice soltanto che, a suo tempo, gliela
indicherà. Un movimento di ubbidienza e una fiducia incondizionata
nella parola della promessa, sono quindi le prime cose che Dio gli
chiede;
Abramo di fatto risponde a Dio con una ubbidienza pronta,
senza sovrapporre le sue riflessioni umane:
“Abram
partì, come gli aveva ordinato il Signore”
(v. 4).
Ma c’è ancora un altro elemento senza il quale non può
esistere alcun cammino di fede,
e che gli è ugualmente richiesto, ed
è la presa di distanza dal suo passato:
“Vattene
dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo
padre”. Non è possibile
camminare liberi con Dio, se si rimane legati al proprio passato,
alla propria casa, alla propria storia.
La nostalgia è il sentimento
più ostile e più contrario ad una vita vissuta nello Spirito:
impedisce di apprezzare le cose nuove che Dio fa nascere ogni giorno
sotto i nostri occhi.
Essa suscita anche la sensazione falsa, e
gravemente ingannevole,
che il passato, o alcuni momenti particolari
di esso, sia stato migliore del presente.
Il libro di Qoelet afferma
giustamente che chi ragiona così è uno stolto (cfr. 7,10).
Chi
ritiene che il passato sia stato migliore del presente,
accusa Dio di
essere un cattivo regista della nostra vita,
e non capisce che ogni
giorno che trascorre
è ricco di una grazia in più che il giorno
prima non aveva.
Ogni giorno,
infatti, lo Spirito aggiunge una
pennellata di perfezione alla sua opera e un maggiore ingresso nella
sua intimità, se non ci si irrigidisce con l’atteggiamento del
giudizio, della sfiducia e del ripiegamento.
Semmai, si dovrebbe
accusare se stessi di avere sciupato il tempo presente
e la grazia di
santità in esso elargita.
Ma il passato non potrebbe essere
considerato migliore del presente neppure nell’ipotesi che uno
abbia valorizzato il dono di grazia nel passato e lo abbia sciupato
nel presente. In realtà, chi sciupa la grazia del presente perde
anche quella del passato, perché il demonio agisce come un ladro:
quando entra in casa, non ruba solo i mobili acquistati di recente,
ma può mettere le mani anche su quelli acquistati molti anni or
sono. Contestualmente, va detto pure che è vero anche il contrario:
chi dice “sì” al Signore oggi, e si converte a Lui, recupera
tutti i doni di grazia che la divina condiscendenza gli aveva
preparato, anche quelli ricevuti e non accolti nel passato. Insomma,
l’idea teologica che ci sta dietro è che il peccato grave può far
perdere in un solo atto lo stato di grazia, e che la sottomissione a
Dio, compiuta con un atto irrevocabile, restituisce la grazia a chi
l’aveva perduta.
Tornando
ad Abramo, i settantacinque anni vissuti nella non conoscenza di Dio
non sono degni di essere narrati dalla Bibbia.
Nel momento della
vocazione, anche lui è invitato a dimenticare tutte le esperienze
vissute senza Dio. Va notato che, prima ancora di dirgli che c’è
una meta e un paese che gli verrà indicato, Dio lo invita a prendere
le distanze dalle proprie origini e dal proprio passato: “Vattene
dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”.
E solo dopo aggiunge: “verso
la terra che io ti indicherò”.
Ciò vuol dire che si cammina verso le promesse di Dio, se si diventa
liberi da ogni altra realtà, e soprattutto se si rinuncia ai
progetti personali per ricevere da Dio un’altra famiglia e un’altra
città. Se l’uomo è capace di vivere così, diventa una
benedizione, con effetti benefici che si estendono ben aldilà della
nostra immaginazione: “Farò
di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome
e possa tu essere
una benedizione” (v. 2).
Tutti coloro che sanno superare i confini ristretti del proprio
mondo, e sulla parola delle promesse divine si mettono in cammino
verso una meta sconosciuta, diventano una benedizione, destinata a
raggiungere l’umanità intera: “in
te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”
(v. 3). Sembra di sentire l’eco delle parole rivolte dal Signore a
Santa Faustina, che contengono un significativo insegnamento valido
per tutti i battezzati: “Sappi, figlia Mia, che se tendi alla
perfezione, porterai alla santità molte anime, ma se non tendessi
alla santità, per ciò stesso molte anime rimarrebbero imperfette.
Sappi che la loro perfezione dipenderà dalla tua perfezione e la
maggior parte della loro responsabilità ricadrà sopra di te”.“diventerai
una benedizione”:
vale a dire che la persona stessa di Abramo diventa un canale di
grazia, non tanto le sue singole opere. Così la benedizione divina
passa attraverso Abramo non tanto in base a ciò che lui fa,
bensì in base a ciò che lui è.
È insomma la crescita personale nello Spirito, e non le iniziative
dei singoli battezzati, ciò che rende la Chiesa più bella e più
ricca.
In forza della fede, Abramo acquista un duplice livello di fecondità.
Ci sono infatti due discendenze che prendono vita da lui: la
discendenza fisica, da cui nascerà il popolo di Israele secondo la
carne, e la discendenza spirituale, da cui nascerà il nuovo Israele
secondo lo Spirito: una moltitudine di figli che, come lui, vivono
lasciandosi guidare dalla fede. Il Signore non vuole la sterilità
dell’uomo, ma si può essere fecondi solo se si riceve la sua
benedizione. Essa è collegata alla fondamentale disponibilità a
uscire dal proprio paese, tagliare i ponti con le proprie radici
genealogiche, prendere le distanze dal proprio passato e dalla
propria storia, e proiettarsi fiduciosi verso il futuro, in un
dinamismo di ubbidienza ininterrotto, in cui si ha non un progetto
chiaro e definito, ma semplicemente una promessa, di cui solo Dio
conosce in anticipo tutti i particolari: “verso
la terra che io ti indicherò”.
Infine, vi sono
altri due versetti chiave da mettere in evidenza, ma lo faremo in
modo sobrio, senza commentarli per esteso, lasciando al lettore di
farlo per conto proprio. La benedizione di Dio è sufficiente a
proteggere l’uomo da ogni male: “Benedirò
coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò”
(v. 3). Vale a dire: il cammino di fede, che è un pellegrinaggio
verso il conseguimento delle promesse di Dio, non è mai esente da
pericoli e combattimenti. Il Signore dice ad Abramo di non cercare
altre difese, perché la sua difesa è Dio stesso, e la divina
benedizione è il suo scudo (cfr. anche Gen 15,1).
Don Vincenzo Cuffaro
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