Questa parabola si conclude poi con l’espulsione dei vignaioli
(cioè della classe dirigente) dalla loro posizione e il passaggio
dell’affidamento della vigna (cioè il popolo di Dio) ad altri.
Anche qui è in gioco il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento,
ma è anche una descrizione del giudizio di Dio che raggiungerà,
all’interno stesso della vita della Chiesa, tutti coloro i quali,
soprattutto pastori, non avranno avuto verso la Chiesa di Dio quella
sollecitudine che Dio si aspetta, mutando il proprio ministero in un
posto di comando, passando da amministratori a padroni, e operando in
tal modo una sostituzione di Cristo con se stessi. Il Figlio viene
insomma buttato fuori dalla vigna che gli appartiene.
In questa linea ci sembra di potere leggere la prospettiva ecclesiale
della parabola. Cosa significa avere rifiutato l’ultimo inviato? A
livello comunitario può significare forse la costituzione di una
pastorale senza Cristo; forse la riduzione dell’attività della
Chiesa ad una progettazione assistenziale, abbassando il livello
delle mete dall’esperienza proiettata verso il Regno di Dio al
semplice sociologismo assistenziale. c Anche a livello individuale
è possibile respingere fuori dalla vigna l’ultimo inviato, e qui
le manifestazioni potrebbero essere molte, come la ricerca di un
ministero per innalzare se stessi, afferrando l’eredità al posto
dell’erede appropriandosi dei doni di Dio, con tutte le conseguenze
di protagonismo che ciò comporta; quest’ultimo inviato, dopo
essere stato ucciso in quel lontano Venerdì Santo, non può più
morire fisicamente, ma può essere ucciso nei nostri cuori in molte
maniere sofisticate e sottili, ed è appunto dietro queste maniere
che si nasconde una nuova e diversa crocifissione del Figlio di Dio,
che durerà finché dura la storia.
Don Vincenzo Cuffaro
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