Il libro della Sapienza ha anche un secondo livello di lettura: il
primo livello è quello già chiarito della profezia allusiva circa
il destino di Cristo, ossia un evento circoscritto nel tempo e nello
spazio, mentre il secondo livello esprime una verità perenne che
accompagna l’esperienza cristiana, quando essa diventa autentica:
il mistero di una opposizione e di una ostilità, talvolta esplicite
e talaltra implicite, che accompagnano i passi dei servi di Dio,
insidiando il loro cammino. Il testo della Sapienza è senza dubbio
un punto di arrivo nella riflessione sapienziale ebraica; i testi più
antichi, come il libro dei Proverbi o alcune sezioni del libro di
Giobbe, pensavano che all’uomo giusto non può accadere nulla di
male, dal momento che la benedizione di Dio lo protegge come uno
scudo. Questa concezione, però, viene smentita dalla riflessione del
Qoelet, il quale afferma che l’uomo, anche se vive da giusto, non
può scansare l’incontro spiacevole e misterioso con la sofferenza.
Nel libro della Sapienza, composto circa duecento anni dopo (50 a.
C.), questa prospettiva diventa ben più radicale: l’atteggiamento
degli empi sottolinea in diversi modi che il giusto viene
perseguitato e ucciso per il fatto di essere giusto. Proprio
la sua giustizia personale è l’unico motivo che lo rende
insopportabile a coloro che vivono empiamente. Da qui la loro
gratuita ostilità.
C’è poi un punto del testo della Sapienza che rappresenta una
novità assoluta nel quadro dell’AT, ed è la considerazione di un
salario per la santità oltre questa vita. Infatti, nell’AT, in
linea di massima, la speranza della divina ricompensa si racchiude
nella felicità sperimentabile nel mondo. Il testo odierno si
conclude significativamente in questi termini: “Gli
empi non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa
delle anime pure” (v. 22); non ci può sfuggire il fatto che
il libro della Sapienza tocchi qui un punto vicinissimo alla speranza
cristiana: non tutte le pendenze e le ingiustizie di questo mondo
vengono retribuite da Dio nell’arco della vita terrena. Né tutte
le virtù, del resto, hanno la loro retribuzione in questa vita.
Infatti, mentre gli empi non sperano salario per la santità, perché
il loro orizzonte si chiude con questa vita, l’atteggiamento
autenticamente cristiano è diverso, capace di sperare ogni bene
oltre la soglia della morte.
Don Vincenzo Cuffaro
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