domenica 30 marzo 2014

la conoscenza del male non giova a nessuno, può soltanto turbare, mentre la manifestazione della luce è una forza di edificazione della persona nella santità e nella perfezione cristiana


 Negli altri due testi della liturgia odierna l’incontro con il Signore produce la radicale divisione tra la luce e le tenebre in un’opera simile a quella compiuta dal Dio creatore all’origine (cfr. Gen 1,3-4). L’Apostolo Paolo precisa che non si tratta di una luce materiale, ma di una luce immateriale: 
il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (v. 9). Queste tre parole appartengono all’ordinamento morale; sono, infatti, le scelte di coscienza che portano l’uomo ad aderire ad uno di questi due schieramenti, senza la possibilità di una scelta intermedia. 
Non c’è una terza possibilità, come avviene nel mondo fisico in cui esiste una zona intermedia: tra la luce e la tenebra il mondo fisico conosce la penombra, dove non c’è abbastanza luce per vedere, ma neppure una tenebra fitta da impedire la visuale. Ma nello spirito, la luce e le tenebre sono divise da un netto confine che le distingue, le rende antitetiche e incompatibili reciprocamente. L’esortazione dell’Apostolo: “Comportatevi perciò come figli della luce” (v. 8), allude alla libera scelta di coscienza, non deterministicamente condizionata da alcuna forza esteriore all’uomo. Gesù stesso nel vangelo affermerà che non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce (cfr. Mc 7,14-15), intendendo dire che l’uomo viene corrotto dalle decisioni della sua stessa coscienza. 
L’orientamento giusto che permette all’uomo di aderire alla dimensione della luce si esprime nella qualità delle relazioni impregnate di “bontà, giustizia e verità”. 
La bontà e la giustizia non coincidono, ma sono come due cerchi concentrici in cui la giustizia viene inclusa nella bontà. 
La bontà è una disposizione dell’uomo a superare i confini della giustizia; infatti, laddove la giustizia dà a ciascuno ciò che gli è dovuto, la bontà dà il dovuto e più del dovuto. Quindi, la bontà non è mai contro la giustizia. La bontà è il superamento dei confini della giustizia, dopo averli però raggiunti. E per questo motivo la giustizia sta dentro la bontà come un cerchio più piccolo dentro uno più grande. 
La verità è invece la scelta di non falsificare i dati della propria coscienza; essa non coincide con la sincerità, perché chi è sincero dice quello che pensa, ma le proprie convinzioni potrebbero essere false, anche se soggettivamente si è convinti della loro verità. L’adesione alla verità, invece, è una scelta di coscienza, laddove essere fedeli alla verità significa rinunciare a falsificare intenzionalmente i dati della realtà per scansare qualche inconveniente o per cadere in piedi nelle situazioni difficili. In definitiva, la verità impedisce di falsificare i dati in nostro possesso.
Entrando in merito a particolari aspetti del comportamento, l’Apostolo suggerisce ai cristiani di non perdere mai la consapevolezza della propria signorilità. 
Infatti, tale consapevolezza nasce da una vita vissuta nella luce della grazia: 
Fratelli, un tempo eravate tenebra, 
ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce” (v. 8). 
Occorre prendere le distanze dal passato, affrancarsi da tutto ciò che è antico e invecchiato; e in realtà, dinanzi alla novità della grazia, tutto è vecchio e antiquato. 
La grazia ci pone in una continua novità, proiettati verso il futuro di Dio. 
Non conta più ciò che eravamo: nel passato eravamo tenebra, adesso siamo luce nel Signore. 
Ma questo esige anche un’opzione particolare: Dio ci ha costituiti figli della luce, attendendosi che noi decidiamo di vivere di conseguenza.
L’Apostolo continua: 
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore” (v. 10). 
Si comprende come la decisione di vivere nella luce comporti delle scelte di coscienza compiute sia in una linea orizzontale sia in una linea verticale. Nella linea orizzontale, chi sceglie la luce vive con fedeltà nella bontà, nella giustizia e nella verità, ma al tempo stesso viene integrata nella linea verticale dalla scelta della fedeltà alla volontà di Dio: 
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore”, 
ovvero “Non partecipate alle opere delle tenebre” (v. 11). 
Le opere delle tenebre esercitano talvolta un sinistro fascino che potrebbe portare ad una partecipazione anche temporanea. Il cristiano consapevole che la luce e le tenebre non hanno nessun punto di contatto tra loro, sceglie di aderire radicalmente ai principi della luce e la luce rivela tutto ciò che è luce (cfr. v. 13). L’osservazione del v. 13 è un dato evangelico e, in generale, un insegnamento del NT, dove la rivelazione differisce dallo scandalo. Dicendo che tutto quello che si manifesta è luce, l’Apostolo intende affermare che le manifestazioni della luce sono le uniche capaci di edificare la persona nel bene; mentre la manifestazione del male non è mai una rivelazione, ma è uno scandalo, un inciampo. Vale a dire: la conoscenza del male non giova a nessuno, può soltanto turbare, mentre la manifestazione della luce è una forza di edificazione della persona nella santità e nella perfezione cristiana.
Il testo si conclude con una esortazione che, con tutta probabilità, la Chiesa primitiva utilizzava nella liturgia battesimale, considerando il battesimo come l’illuminazione del catecumeno: 
Svegliati, tu che dormi, 
risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà” (v. 14). 
È l’invito a passare dal regime delle tenebre al regime della luce in quei termini già precedentemente spiegati dall’Apostolo come una scelta di fedeltà nella linea orizzontale e in quella verticale: una fedeltà ai valori positivi che edificano l’uomo e che traducono l’ubbidienza alla volontà di Dio. Il v. 14 contiene due elementi di grande importanza che ritornano nel racconto della guarigione del cieco nato. Da un lato, la promessa della illuminazione che viene da Cristo, 
dall’altro la decisione personale di svegliarsi, di destarsi dai morti, 
perché l’illuminazione di Cristo è posta dall’Apostolo Paolo 
come una conseguenza della decisione personale di destarsi dai morti.
Don Vincenzo Cuffaro

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