At 7,51-8,1 “Signore
Gesù, accogli il mio spirito”
Salmo 31 “Alle
tue mani, Signore, affido la mia vita”
Gv 6,0-35 “Non
Mosè, ma il Padre mio vi da il pane dal cielo”
Abbiamo già visto come, nel brano della prima lettura
di ieri, il Signore sostiene la testimonianza dei suoi servi. La
divina convalida dell’autenticità dei servi di Dio, non avviene in
primo luogo in maniera carismatica, bensì mediante la forza della
verità che si irradia nella vita e nella parola di chi vive nello
Spirito. Il momento della convalida carismatica della santità di
Stefano, infatti, come abbiamo già visto, arriva soltanto alla fine
del brano, quando contro di lui si erge la durezza e la persecuzione
della sinagoga. Ma in un primo momento, la maniera normale con cui
Dio convalida la sua santità, non è il miracolo, né il segno
carismatico. È soltanto la luminosità della propria vita, dinanzi
alla quale si ha l’impressione di un messaggio che s’impone con
la forza stessa della verità, appunto perché non è fatto
esclusivamente di parole, ma è un messaggio che emana, per così
dire, dalla persona del servo di Dio. Per questa ragione, Luca,
autore degli Atti, nel raccontare il brano della persecuzione contro
Stefano, sottolinea il fatto che egli parla con una sapienza ispirata
e irresistibile per i suoi avversari. Non si tratta quindi di parole,
di retorica, o di argomentazioni persuasive. La forza di questa
sapienza ispirata deriva dal pieno coinvolgimento personale di
Stefano nel disegno Dio e nella verità che lui testimonia vivendola
fino in fondo, tanto che sarà capace di morire per essa. Stefano
attribuisce al peccato contro lo Spirito l’incapacità della
sinagoga giudaica di riconoscere la verità della sua testimonianza.
In termini pratici: tutte le volte in cui ci si trova davanti una
persona che vive la sua fede cristiana fino in fondo, e che esprime
con la sua vita un messaggio convincente, il fatto di rifiutare tale
messaggio costituisce in se stesso un peccato contro lo Spirito. Si
può resistere, infatti, a una testimonianza fatta di parole, che
magari non reggono al confronto con la vita di chi le ha pronunciate;
ma quando la parola della testimonianza cristiana è pienamente
armonizzata con la vita del testimone, e questo messaggio non è
accolto come veritiero dai suoi destinatari, allora in ciò si può
dire senz’altro che consista una delle forme del peccato contro lo
Spirito.
Don Vincenzo Cuffaro
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