At 6,8-15 “Non
riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui Stefano
parlava”
Salmo 119 “Beato
chi cammina nella legge del Signore”
Gv 6,22-29
“Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la
vita eterna”
L’insegnamento delle
letture di questa giornata ci riporta alla natura della testimonianza
cristiana, nel suo carattere duplice, in quanto Dio conferma la
testimonianza del cristiano con la sua. Possiamo parlare in senso
proprio di evangelizzazione e di testimonianza cristiana solo quando
il Signore opera contemporaneamente ai suoi discepoli, confermando la
testimonianza umana coi segni che l’accompagnano. Questo tema viene
affrontato dalle letture odierne con la precisazione che, anche
quando la testimonianza cristiana e l’evangelizzazione sono
autentiche, questo fatto non comporta necessariamente una conversione
dei destinatari dell’annuncio. In sostanza, è vero che Dio
conferma sempre la parola dei suoi servi, ma tale conferma non
costituisce un’imposizione della conversione. Se da un lato è
necessario che Dio confermi, con la sua azione potente, la vita e la
parola dei suoi servi, perché l’evangelizzazione sia autentica,
dall’altro lato, la libertà dei destinatari non ne viene
minimamente intaccata.
La figura del diacono Stefano incarna l’ideale
dell’evangelizzazione in cui Dio conferma la parola del suo servo,
lasciando tuttavia libera la decisione dei destinatari; notiamo
subito che il modo in cui il Signore interviene per confermare la
parola di Stefano non è in un primo momento di natura carismatica. È
vero che la Parola della predicazione può essere accompagnata da
segni carismatici, ma non è necessario che essi ci siano: infatti,
la conferma divina non si esaurisce nei segni straordinari dello
Spirito Santo; anzi, la prima conferma della verità del vangelo, è
interna, e si realizza nei termini di una interiore attestazione
dello Spirito nella coscienza degli ascoltatori. Questa conferma è
molto più forte di quella dei segni carismatici, in quanto è
interiore, mentre il miracolo è sempre un fenomeno esterno. Sono
in errore coloro i quali ritengono che un segno carismatico forte,
possa convincere gli atei dell’esistenza di Dio. Essi dimenticano
che dopo la risurrezione di Lazzaro, i farisei deliberarono di
uccidere anche lui (cfr. Gv 12,10), e che il ricco epulone,
desiderando che i suoi fratelli si convertissero dalla loro vita
scioperata, chiese ad Abramo di mandare loro qualcuno dall’aldilà
per avvertirli, sentendosi rispondere però: “Hanno
Mosè e i profeti, ascoltino loro. Se non ascoltano Mosè e i
profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti, sarebbero persuasi”
(Lc 16,29-31). Questa risposta di Abramo è di estremo interesse, in
quanto nega al miracolo una qualche efficacia di convincimento; il
segno carismatico, quando c’è, è inevitabilmente esteriore.
La forza della verità, invece, si afferma nella coscienza dell’uomo
retto, senza alcun appoggio esteriore. Chi non si sente intimamente
conquistato dalla forza della verità, difficilmente potrà essere
conquistato esteriormente da un evento straordinario, la cui
interpretazione potrebbe essere comunque manipolata ad arte.
Nell’ipotesi che Abramo avesse acconsentito alla richiesta del
ricco epulone, e avesse mandato qualcuno dall’aldilà ad avvertire
i suoi fratelli, chi avrebbe potuto scalfire le loro convinzioni
materialistiche, nel caso in cui avessero interpretato l’apparizione
del defunto Lazzaro, come un’allucinazione o come un sogno a occhi
aperti? E in definitiva, a queste condizioni, la visita del defunto
dall’aldilà, non avrebbe confermato il loro ateismo, anziché
metterlo in crisi?
Don Vincenzo Cuffaro
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