sabato 23 aprile 2011

ritagliarsi di tanto in tanto un piccolo Sabato Santo

L’insonnia è diventata una malattia assai diffusa e in questo modo si manifesta la grande difficoltà della nostra generazione a lasciarsi andare e ritagliarsi di tanto in tanto un piccolo Sabato Santo: «oggi voglio ritirarmi a riposare nel mio silenzio: nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedo ospitalità per un giorno intero» (148) per poter dire alfine: Ho nell’anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che riposa in Dio. Se dopo una notte passata in questa intimità rigenerante potessimo dire di ogni nostro incontro con Dio: «E sabato sera: l’anello della nostra relazione si è chiuso, così semplicemente e così naturalmente. Come se di notte non mi avesse mai ricoperta altro che una corona a fiori» (189)!!!
Una Quaresima con Etty Hillesum

Han mandato un messaggero, forse arriva questa sera




L’HOTEL DEI GIORNI IMMOBILI
All’hotel dei giorni immobili
non brillano le stelle:
qualche volta s’intravede appena
il fondo della valle;
c’è un odore di salsedine,
ma il mare non si vede…
dai sentieri che ci arrivano
non ripartono più strade…
All’hotel dei giorni immobili
da sempre c’è un soldato,
ma la guerra non spiegò
se c’era morto o c’era nato;
e se c’era nato o morto
non lo seppe mai il poeta
che perdeva il tempo a chiedersi
se un’entrata è anche un’uscita.
E una notte innominabile
ci transitò un mercante,
e vendeva tutto a tutti
e tutti non avevan niente;
e vendeva per non piangere
di non aver venduto
e le lacrime bagnavano
sciupavano il broccato.
Han mandato un messaggero,
forse arriva questa sera;
passa i monti, passa il gelo,
passa il tuono e la bufera;
passa il fuoco dell’inferno
con un foglio tra le mani;
han mandato un messaggero,
forse arriverà domani.
All’hotel dei giorni immobili
ci venne anche un sovrano:
ordinò, salì con comodo,
prese tutto il terzo piano:
e ci venne un accademico
con un trucco madornale,
ma nel buio s’illuminarono
solo gli angoli e le scale.
E una notte senza nuvole
si presentò un pensiero;
e si cominciò a distinguere
buio falso e buio vero;
e una notte con le nuvole
lì si smarrì un ricordo,
e si continuò a confondere
l’apparenza di uno sguardo.
S’è perduto il messaggero
s’è perduto sul confine,
tra il principio delle cose
e le cose della fine;
s’è perduto il messaggero
col cavallo e con i cani,
tutto è ritornato nero
dietro il grido dei gabbiani;
s’è perduto il messaggero
con un foglio tra le mani:
non arriverà stasera
non arriverà domani.
All’hotel dei giorni immobili
nel sogno di una donna
tutto è chiaro, tutto è limpido,
la penombra non inganna;
e bastò guardarla un’attimo
per leggerle nel cuore
che lei già sapeva tutto
prima ancora di sognare:
e fu finalmente giorno,
fu bambino e fu canzone,
e fu gioia del ritorno
e fu “dormi”,e fu persone;
e fu finalmente cielo
con la luna e con le stelle,
e fu finalmente mare
con il vento e con le vele…
e fu subito chitarra,
e fu abbraccio e fu ferita,
e fu “guardami!” e fu terra,
e fu vivere e fu vita;
così il giorno tornò giorno
e la notte fu la notte;
l’orizzonte all’orizzonte
e le stelle in cielo, tutte.
Roberto Vecchioni

venerdì 22 aprile 2011

E la parola ormai sfinita si sciolse in pianto




IL SOGNO DI MARIA (Fabrizio De Andrè)
Nel Grembo umido, scuro del tempio,
l’ombra era fredda, gonfia d’incenso;
l’angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d’improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese – Conosci l’estate
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.
Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all’ulivo si abbraccia la vite.
Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.
… e l’angelo disse: “Non
temere, Maria, infatti hai
trovato grazia presso il
Signore e per opera Sua
concepirai un figlio”…
Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d’un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.
Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l’immagine, stinse il colore,
ma l’eco lontana di brevi parole
ripeteva d’un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era
- Lo chiameranno figlio di Dio -
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.
E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d’una quiete apparente
che si consuma nell’attesa
d’uno sguardo indulgente.
E tu, piano, posati le dita
all’orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

giovedì 21 aprile 2011

le cose dure a farsi, il cuore non vuol comprenderle

È proprio l'aspetto esemplare e quindi impegnativo delle strade percorse dal Maestro che ci indispone e non ci lascia comprendere la sua pasqua. Le cose sublimi si possono capire con l'intelletto: ma le cose dure a farsi, il cuore non vuol comprenderle. Più che l'incapacità della nostra mente, scontiamo la ripugnanza del nostro cuore, che spinge la volontà a serrare la porta, fino a parere insensata.
«O insensati e tardi di cuore a credere! Non sapevate che il Cristo soffrisse queste cose?»Il Signore sa che anche questa «stoltezza» è legata alla nostra condizione umana; una pigrizia che facilmente non si desta, così ogni volta che ci vedremo impegnati per il soffrire di un altro, saremo tentati di negare ogni senso al soffrire e ogni impegno alla pasqua.
Ma è proprio da questo soffrire non capito, da questo oscuro parlare, che veniamo «presi a opra» per il regno di Dio e portati ad assumerne gli impegni.
don Primo Mazzolari

è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito


«Capite quel che vi ho fatto?»
«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)
Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire. «Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».
Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé...

Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.
Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.
I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. 
«Se sapete queste cose, 
  siete beati se le fate».

  Don Primo Mazzolari Dietro la croce

mercoledì 20 aprile 2011

un attimo ritornano


Voci
Voci ideali e care
di quelli che morirono, di quelli
che per noi sono persi come i morti.
Talora esse ci parlano nei sogni,
e le sente talora tra i pensieri la mente.
Col loro suono, un attimo ritornano
suoni su dalla prima poesia di vita -
come musica, a notte, che lontanando muore.

martedì 19 aprile 2011

forse, a poco a poco



Bisogna aver pazienza
per ciò che nel cuore
vi è di irrisolto,
e cercare di amare i problemi
come stanze chiuse.
come libri scritti in una lingua straniera.

Se si vivono i problemi,
forse, a poco a poco,
senza accorgersene ,
un giorno nella nostra vita
arriverà la risposta.

 (Rainer Maria Rilke)

candele accese, candele spente


Candele
C. Kavafis
Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese -
dorate, calde, e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente :
le più vicine dànno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

Se non mi pongo io stesso la domanda, mi costringono a farlo gli altri

Mi è capitato tra le mani un piccolo grande libro di HANS URS VON BALTHASAR CHI È IL CRISTIANO? pubblicato nel 1965. Ripropongo l'inizio perchè credo che la domanda che si pone sia attuale e adatta per la settimana che stiamo vivendo.
I giovani pongono domande. 
Chi sa dare la risposta? 
Prima di domandare i giovani si guardano intorno con una diffidenza metodica non ingiustificata. 
Questi uomini, che si dicono cristiani, su che cosa fondano la loro pretesa? Sull'abitudine, sulla tradizione, su qualcosa che hanno imparato a memoria nell'istruzione giovanile? Ma tutto questo su che cosa si fonda, su che si misura la tradizione, il catechismo, la prassi sacramentale
Sul Vangelo? 
Ma in esso le cose si presentano molto diversamente
Si deve perciò inserire frammezzo il magistero della Chiesa
E quindi le difficoltà aumentano, perché non si vede più direttamente l'origine, ma si deve guardare per vie indirette, ed incominciano le noiose dispute sulle pretese del clero di conoscere con esattezza l'intenzione del fondatore, di interpretarla rettamente e più ancora di imporre autoritativamente questa interpretazione alle coscienze. 
Ma poiché tali interpretazioni in qualche modo riflettono sempre - e chi potrebbe trovarvi a ridire? - il loro tempo, per il quale sono anche state fatte, non può non avvenire che, mutato lo spirito dei tempi, le interpretazioni proposte con grande forza perdano di attualità, diventino incolori, schematiche e sovente penose; parecchie cose appaiono come 'ideologie' legate al tempo; un nuovo aggiornamento si rivela inevitabile. Taluni manifestano rumorosa ammirazione per la continua 'forza di ringiovanimento' della Chiesa, altri esprimono un sommesso rammarico che posizioni, ostinatamente difese cosi a lungo, vengano abbandonate, sgombrate, smantellate come fortini senza importanza o come bastioni antiquati. 
Sorge cosi, ancora più angosciosa, la domanda: dov'è in definitiva la norma? 
Poiché l'elemento storico scivola via a modo di dune mobili, lo sguardo scrutatore si rivolge alle origini: dov'è il fondamento roccioso, dov'è una risposta in equivocabile alla domanda 'Chi è il cristiano'? E quand'anche essa non tormentasse me personalmente, mio figlio vuoI sapere ed io non posso agire nei suoi confronti come se sapessi, ed ingannare cosi la sua coscienza. 
Se sono insegnante, abuso della mia autorità se inculco agli allievi cose per cui io stesso non posso porre la mano sul fuoco. 
Se sono compagno di lavoro o di svago, l'amico ed il nemico che mi sono accanto vogliono sapere ancor di più che non lo scolaro dal maestro e si lasciano tacitare meno facilmente. 
Se non mi pongo io stesso la domanda, mi costringono a farlo gli altri.

lunedì 18 aprile 2011

così saggio, così esperto, avrai capito che vuol dire un’Itaca

Ieri ho postato la vita di C. Kavafis. Oggi ripubblico Itaca che è una risposta alle domande finali  di Alexis Diaz Pimienta FINE DEL VIAGGIO finali post del 13 aprile (http://hoascoltatoilsilenzio.blogspot.com/2011/04/cosa-farai.html#links)



Itaca
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri per la via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Nè Lestrìgoni o Ciclopi
nè Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via,
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare ( e con che gioia
allegra!) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani ed ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Rècati in molte città d’Egitto,
a imparare imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca
.





una malattia molto più grave

Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
Oriana Fallaci - Insciallah

domenica 17 aprile 2011

C. Kavafis


C. Kavafis nacque ad Alessandria d’Egitto, da famiglia greca. Suo padre aveva una ben avviata ditta di import-export, tuttavia nel 1870, dopo la morte del padre, Kavafis e la sua famiglia furono costretti a trasferirsi a Liverpool. Kavafis tornò ad Alessandria nel 1882. Lo scoppio delle rivolte nel 1885 costrinse la famiglia a muoversi ancora, questa volta a Costantinopoli. In quell’anno stesso, però, Kavafis ritornò ad Alessandria, dove visse per il resto della sua vita.
Inizialmente lavorò come giornalista, ma poi fu assunto al Ministero egiziano dei lavori pubblici, dove lavorò per trent’anni.
Dal 1891 al 1904 pubblicò alcune poesie, che gli fruttarono una certa fama per tutta la vita. Morì nel 1934. Dalla sua morte, la fama di Kavafis è cresciuta, e oggi è considerato uno dei più grandi poeti greci. ( Da Wikipedia)

spazio che circonda

Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie
e rischiara l’oscurità del mio cuore?
Tu mi guidi come mano materna e mi lasci libera.
Tu sei lo spazio che circonda
il mio essere e lo racchiudi in sé.
Da te lasciato cadrebbe nell’abisso del nulla,
dal quale tu lo elevi all’essere.
Tu, più vicino a me di me stessa,
e più intimo del mio intimo,
e tuttavia inafferrabile ed incomprensibile
che fai esplodere ogni nome:
Spirito Santo, Amore eterno.
Edith Stein