Cor 9, 24-25 Io corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato.
Il mio commento di oggi è lasciar spazio al Grande santo di oggi
The dark night of the soul (qui su You Tube), la cantante rilegge Notte oscura di S. Giovanni della Croce che, riallacciandosi al Cantico dei Cantici, esprime poeticamente l’esperienza della notte oscura dell’anima che talvolta è più vicina al suo Signore quando ne percepisce la lontananza ed il desiderio di quando ne avverte con evidenza la presenza.
The dark night of the soul
Upon a darkened night
the flame of love was burning in my breast
And by a lantern bright
I fled my house while all in quiet rest
Shrouded by the night
And by the secret stair
I quickly fled
The veil concealed my eyes
while all within lay quiet as the dead.
Rit.
Oh night thou was my guide
oh night more loving than the rising sun
oh night that joined the lover to the beloved one
transforming each of them into the other.
Upon that misty night
in secrecy, beyond such mortal sight
Without a guide or light
than that which burned so deeply in my heart
That fire t'was led me on
and shone more bright than of the midday sun
To where he waited still
it was a place where no one else could come.
Rit.
Within my pounding heart
which kept itself entirely for him
He fell into his sleep
beneath the cedars all my love I gave
From o'er the fortress walls
the wind would brush his hair against his brow
And with its smoothest
hand
caressed my every sense it would allow.
Rit.
I lost myself to him
and laid my face upon my lover's breast
And care and grief grew dim
as in the morning's mist became the light
There they dimmed amongst the lilies fair
there they dimmed amongst the lilies fair
there they dimmed amongst the lilies fair
The dark night of the soul:
traduzione
In una notte oscura
La fiamma dell’amore stava bruciando nel mio petto
E da una lanterna luminosa
Fuggii mentre tutto era a riposo, calmo in casa.
Avvolto nella notte
Da un gradino segreto rapidamente scappai
Nascosi il velo i miei occhi
Mentre tutto dentro era calmo come morto.
Rit: Oh notte tu eri mia guida
Della notte più amante del sole che sorge
Oh notte che unì l’amante all’amato
Trasformando ognuno di loro nell’altro.
Su quella notte nebbiosa
In segreto, oltre tale vista mortale
Senza una guida o luce
Di quella che bruciava così profondamente nel mio cuore
Quel fuoco mi guidava
E splendeva più luminoso del sole di mezzogiorno
Dove egli aspettava ancora
Era un luogo dove nessun altro poteva venire
(Rit)
Dentro il mio cuore pulsante
Che si tratteneva totalmente per lui
Cadde nel sonno
Sotto i cedri tutto il mio amore io diedi
Da sopra le fortezze
il vento spazzerebbe i capelli contro la fronte
e con la sua mano più liscia
accarezzato ogni mio senso
Mi persi in lui
E reclinai il mio volto sul petto del mio amato
E preoccupazione e dolore aumentarono
Come la foschia nel mattino divenne luce
Là si affievolirono i bei gigli
S. Giovanni della Croce ha voluto sintetizzare in poesia lo sviluppo dell’itinerario che porta l’anima all’unione con Dio e La salita del monte Carmelo inizia proprio con questi versi che strutturano poi tutto il testo:
1 - In una notte oscura,
con ansie, in amori infiammata,
- oh felice ventura !
-
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.
2 - Al buio uscii e sicura,
per la segreta scala, travestita
- oh felice ventura!
-
al buio e ben celata,
stando già la mia casa addormentata.
3 - Nella felice notte,
segretamente, senza esser veduta,
senza nulla guardare,
senza altra guida o luce
fuor di quella che in cuore mi riluce.
4 - Questa mi conduceva
più sicura che il sol del mezzogiorno,
là dove mi attendeva
Chi bene io conosceva
e dove nessun altro si vedeva.
5. - Notte che mi hai guidato!
O notte amabil più dei primi albori!
O notte che hai congiunto
l'Amato con l'amata,
l'amata nell'Amato trasformata!
6. - Sul mio petto fiorito
che intatto per lui solo avea serbato,
Ei posò addormentato,
mentre io lo vezzeggiava
e la chioma dei cedri il ventilava
7. - Degli alti merli l'aura,
quando i suoi capelli io discioglievo,
con la sua man leggera
il mio collo feriva
e tutti i sensi miei in sé rapiva.
8. - Giacqui e mi obliai,
il volto sul Diletto reclinato;
tutto cessò, e posai,
ogni pensier lasciato
in mezzo ai gigli perdersi obliato.
C'è una tradizione, tuttavia, in cui «soltanto», a proposito delle parole, non è una limitazione
negativa, non indica insufficienza e aridità, come per il protagonista di Nabokov.
È la tradizione
chassidica, la corrente mistica e gioiosa dell'ebraismo orientale, in cui parabole e leggende sono
preghiere, racconti di verità. In una di queste parabole, riportata da Gershom Scholem, il più grande
storico di mistica ebraica, si narra che quando Baàl-shem, il santo e maestro, doveva assolvere un
compito difficile per il bene delle creature, andava in un posto speciale e segreto del bosco,
accendeva magicamente un fuoco, diceva preghiere particolari e otteneva da Dio ciò che chiedeva.
Una generazione dopo, un suo successore, il Maggìd di Meseritz, quando si trovava dinanzi allo
stesso compito, si recava in quel posto segreto del bosco e diceva quella speciale preghiera, ma non
conosceva più il modo di accendere il fuoco, e otteneva ciò che chiedeva.
Ancora una generazione
dopo, un altro grande maestro non sapeva più né come accendere il fuoco né quale preghiera dire,
ma si recava in quel luogo nascosto del bosco, ottenendo ciò che chiedeva. Ma, ancora una
generazione dopo, un altro maestro che aveva la stessa esigenza, diceva di non conoscere più né
l'arte di accendere quel fuoco né le formule di quella preghiera e nemmeno dove si trovasse quel
luogo nel bosco, ma aggiungeva che di tutto questo poteva raccontare la storia e, raccontandola,
otteneva ciò che chiedeva.
E ogni volta che, nella cerchia dei chassidim, il narratore narra la storia
di questa progressiva perdita, il suo racconto ottiene da Dio il dono richiesto; di quella realtà restano
soltanto le parole, ma le parole che narrano la storia di quella perdita la superano, perché hanno la
stessa efficacia delle azioni compiute da quei santi nel passato.
Le storie, in questo senso, assomigliano alle preghiere: stabiliscono legami — religione deriva da
religio, ciò che collega — trasmettono valori, dicono il senso delle errabonde vicende umane. Poche
cose infatti uniscono, creano legami e amicizia, come raccontare storie, accadute a noi stessi o a
qualche altro, ma che sono divenute parte di noi e che, rinarrate, diventano anche di altri, entrano
nella loro vita.
La cerchia chassidica in cui si raccontano storie è un coro in cui una voce si
riconosce nelle altre, distinguendosi, ma anche confondendosi con le altre, in un epico scambio fra
il mio e il tuo. Anche fra noi amici, talora non sappiamo bene cosa è accaduto all'uno o all'altro. Ma
abbiamo le storie; le parole, non soltanto le parole.
Le Storie, preghiere che aiutano a vivere
di Claudio Magris
in “Corriere della Sera” del 1 dicembre 2012 Nel rileggere il post, mi sono accorto di quanto sia bello ma anche di difficile lettura perchè richiede sintonia con l'autore. " di quella realtà restano soltanto le parole, ma le parole, che narrano la storia di quella perdita, la superano, perché hanno la stessa efficacia delle azioni compiute da quei santi nel passato." Se mi è permesso, anche l'articolo è PAROLE che però, nella storia, nel ricordo dell'esperienza compiono il miracolo di riprendere l'efficacia delle azioni compiute nel passato.
Poche cose infatti uniscono, creano legami e amicizia, come raccontare storie, accadute a noi stessi o a qualche altro, ma che sono divenute parte di noi e che, rinarrate, diventano anche di altri, entrano nella loro vita... Anche fra noi amici, talora non sappiamo bene cosa è accaduto all'uno o all'altro. Ma abbiamo le storie; le parole, non soltanto le parole. Non posso continuare a citare l'autore perchè alla fine rischierei di trascriverne tutto lo scritto. Sì, forse è un invito, non velatamente sottinteso, ad una rilettura. Nessuno ignora momenti talora segreti e che ci è dato capire solo dopo molto tempo che sono accaduti. Siamo mossi da eventi che ci cambiano e di cui ci rendiamo conto molto più tardi. Il senso e l'intelligenza vengono dopo l'evento, come la percezione del colpo segue la vista del gesto di colpire. Quando e quanto si capisce, si fa storia e diventa il punto di partenza di un cammino.
...diceva di non conoscere più né l'arte di accendere quel fuoco né le formule di quella preghiera e nemmeno dove si trovasse quel luogo nel bosco, ma aggiungeva che di tutto questo poteva raccontare la storia e, raccontandola, otteneva ciò che chiedeva. Dio passa e non lo si riconosce se non di spalle, ci dice la Bibbia, cioè quando è passato, a cose fatte.
Obbedendo al consiglio amichevole, per questo autorevole, di Mauro mi impegnerò a commentare modestamente quanto vado pubblicando. Mi corre l'obbligo di aggiungere le avvertenze per l'uso. So che le parole dell'autore hanno virtù che ogni lettore può scoprire. Le mie riflessioni focalizzeranno l'attenzione su aspetti particolari che non esauriranno il grande tesoro del testo. Il lettore, perciò, non si lasci condizionare da quanto avrò sottolineato.
Senza sale non c’è sapore nel cibo. E’ cosa scipita.
Sapevi che la tua presenza tra la gente è importante come il sale?
Senza di te e di me non c’è sapore nella vita. “Voi siete il sale della terra”, diceva Gesù (Mt.5,13).
Proprio lui ci ha fatti cosi preziosi.
Che bello: Gesù ci fa coraggio per non perderci d’animo anche se siamo solo piccoli, sconosciuti, non famosi. La nostra presenza basta per dare sapore alla vita.
Almeno Dio gode di noi, se i nostri vicini non si rendono conto.
Ma pian piano anche loro lo sperimenteranno, al di più tardi che noi li mancheremo.
Ma c’è ancora un mistero nel simbolo del sale.
Il sale non ha senso in se stesso, ma solo nel suo abbandonarsi al cibo.
Allo stesso modo l’uomo non ha importanza a causa di grandi sforzi ma solo mostrandosi tra amici con una parola o con un gesto autentico.
Il sale non può perdere il sapore, solo l’uomo può farlo, quando non è più autentico.
Ecco perchè Gesù dice:
“Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.”
Giosuè Boesch
Noi siamo sale, dobbiamo esserlo per dare sapore alla terra e agli amici. La nostra vocazione è scioglierci nel cibo, non perdere i sapore, per non essere buttati via.
perché io sono il Signore della danza:
io guiderò la danza di tutti voi.
Dovunque voi siate,
io guiderò la danza di tutti voi.
Io danzavo
il primo mattino dell'universo,
io danzavo circondato dalla luna,
dalle stelle e dal sole,
disceso dal cielo danzavo sulla terra
e sono venuto al mondo a Betlemme.
Io danzavo per lo scriba e il fariseo,
ma essi non hanno voluto seguirmi;
io danzavo per i peccatori,
per Giacomo e per Giovanni,
ed essi mi hanno seguito
e sono entrati nella danza.
Io danzavo il giorno di sabato,
io ho guarito il paralitico,
la gente diceva che era vergogna.
Mi hanno sferzato
mi hanno lasciato nudo
e mi hanno appeso ben in alto
su una croce per morirvi.
Io danzavo il Venerdì,
quando il cielo divenne tenebre.
Oh, è difficile danzare
con il demonio sulle spalle!
Essi hanno sepolto il mio corpo
e hanno creduto che fosse tutto finito,
ma io sono la danza
e guido sempre il ballo.
Essi hanno voluto sopprimermi
ma io sono balzato ancora più in alto
perché io sono la Vita
che non può morire:
e io vivrò in voi e voi vivrete in me
perché io sono, dice Dio,
il Signore della danza.
Sidney Carter
Il filosofo Nietzsche haaffermato:
«Potrei credere solo in unDio
che sappia danzare!».
Il Dio della Bibbia, il Dio di Gesù Cristo è il Signore della danza, della gioia.
Vuole la nostra gioia, fa di tutto perché la nostra vita sia un banchetto di nozze.
Ci guarda negli occhi con sguardo d’amore e ci invita alla festa.
Forse siamo noi che non abbiamo il coraggio di addentrarci nell'avventura evangelica e ce ne andiamo via tristi... Ma Lui insiste: Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Giovanni 15, 1l).
Possiamo celebrare cento natali, senza che mai Dio nasca nei nostri cuori. Perciò abbiamo bisogno di un tempo di interiorità, perché possiamo, infine accogliere la luce del Signore. Affinché il giorno della venuta del Signore non ci piombi addosso all’improvviso e ci trovi impreparati. Sarebbe tragicomico passare la vita ad invocare la venuta del Signore, e non esserci nel momento della sua venuta interiore! Certo, non è facile e tutto ci rema contro: la crisi economica, il clima dolciastro, lo scippo natalizio perpetrato dal mercato che fa leva sui buoni sentimenti, le difficoltà della vita di tutti i giorni. Non è facile, ma è possibile: Cristo ci chiede di alzare lo sguardo, invece di lamentarci, di guardare oltre, altrove, al di là. L’importante è arrivare al Natale, a quello vero, con il cuore, leggero, senza lasciarlo appesantire dalla dissipazione, dallo stordimento, dalle preoccupazioni della vita. Dio viene, lui prende l’iniziativa, è suo il primo passo. La Scrittura ci rivela il volto di un Dio che intesse relazioni, che cerca l’uomo, che lo corteggia. La storia, splendida e drammatica, fra Israele e il suo Dio non è sempre stata fortunata e feconda. Ora Dio viene per spiegarsi, per raccontarsi, per dirsi. Dio viene a rivelarsi. Incipit L’aulico e solenne incipit della predicazione del Battista conferma l’intento di Luca di raccontare eventi storici, non edificanti racconti da pie devote. Luca, discepolo di Paolo, non ha mai visto Gesù in vita sua. Come ...http://www.tiraccontolaparola.it/template_pagine/hp_02.asp?idct=1&idlv=10
Paolo Curtaz