sabato 15 marzo 2014

10° giorno Cristo non indicherà ai suoi discepoli le leggi e le norme di Dio, ma l’agire di Dio come norma per il discepolato cristiano


 Diversa è la prospettiva che Gesù indica ai suoi discepoli nel vangelo di Matteo, dove il tema e l’atmosfera giuridica del Deuteronomio è sostituita dalla visione imitativa: Cristo non indicherà ai suoi discepoli le leggi e le norme di Dio, ma l’agire di Dio come norma per il discepolato cristiano. Ritorna però, nei medesimi termini esposti dal Deuteronomio, la necessità della risposta dell’uomo, perché l’elezione non può verificarsi solo dal punto di vista di Dio, se ad essa non si congiunge anche la risposta dell’uomo. I caratteri del movimento dell’uomo verso Dio hanno sempre l’aspetto di una risposta, che può avvenire solo dopo che Dio si è mosso per primo. La risposta umana in sostanza non è mai una iniziativa autonoma. Il primato della grazia è sempre alla base di ogni discorso cristiano. Gesù disse ai suoi discepoli: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” (Dt 3,43). Il riferimento è alla legge mosaica, dove l’odio verso il nemico e verso i persecutori è permesso, con l’unico vincolo di una vendetta proporzionata. Ma se il codice mosaico ammette la possibilità dell’odio, lo stile di Dio nel suo entrare in relazione con gli uomini non lo permette più, perché Dio “fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. Lo stile di Dio non conosce preferenza di persone. La sua divina condiscendenza fa arrossire le misure meschine della giustizia umana. Dinanzi all’umanità Dio non si pone subito come Giudice ma come Padre, e in quanto Padre tratta tutti i suoi figli con amore, anche se si riserva di giudicare alla fine l’esito della vita di ciascuno. Durante la vita non è la bontà né la malvagità degli uomini che spinge Dio a trattare diversamente gli uomini. A ciascuno Dio dà ciò che gli è necessario per la salvezza, indistintamente; ciascuno sarà responsabile successivamente di come userà i doni di Dio, che sono garantiti a tutti, anche a quelli che li useranno per la propria rovina.
Don Vincenzo Cuffaro

venerdì 14 marzo 2014

9 giorno il Signore afferma, per bocca del suo profeta, che viene cancellato il cattivo passato del malvagio, nel momento in cui egli si incammina per le vie della giustizia, ma viene anche cancellato il passato luminoso del giusto, qualora egli si allontanasse dalla giustizia per incamminarsi sulla via dell’iniquità.


 Il testo di Ezechiele è di grande importanza sul piano della teologia morale. Nella prima lettura viene chiarito il concetto biblico della responsabilità personale, che indubbiamente deve essere ben chiaro, e al contempo in armonia con un altro concetto, anch’esso ripetutamente affermato dalle Scritture, ed è la solidarietà nel peccato. Dal primo punto di vista, quello della responsabilità personale, si afferma che nessuno può addossare a un altro la colpa del proprio peccato; dal secondo punto di vista, quello della solidarietà nel peccato, si afferma che ogni gesto, buono o cattivo, ha inevitabilmente delle conseguenze anche su chi non lo ha compiuto. Così, chi compie il peccato, ne è personalmente responsabile quanto alla colpa, ma le conseguenze negative del suo gesto iniquo colpiranno anche qualche innocente. Sono questi due aspetti del mistero dell’iniquità. La Bibbia, infatti, oltre alla responsabilità personale – il cui enunciato troviamo nella prima lettura odierna - afferma anche, a chiare lettere, la solidarietà dell’uomo nel peccato come anche nella santità, così che una generazione può portare il peso degli sbagli della generazione precedente, ma pure beneficiare della luce di santità di chi è vissuto prima. Bisogna però affermare con altrettanta chiarezza che, se da un lato le conseguenze del peccato di un altro possono ricadere su di me, è vero pure che la responsabilità del peccato (ossia il peccato inteso come colpa) non è mai comunitaria ma è sempre individuale e soggettiva. Solo le conseguenze del peccato possono colpire gli innocenti, ma la responsabilità del peccato, in quanto esso si può imputare a qualcuno, non può che ricadere su questo qualcuno.
Il testo di Ezechiele chiarisce questa verità. La responsabilità è individuale in due sensi: nel senso di una scelta del bene dopo avere vissuto a lungo nel male, oppure la scelta del male dopo avere vissuto nel bene. Nell’uno e nell’altro caso il Signore afferma, per bocca del suo profeta, che viene cancellato il cattivo passato del malvagio, nel momento in cui egli si incammina per le vie della giustizia, ma viene anche cancellato il passato luminoso del giusto, qualora egli si allontanasse dalla giustizia per incamminarsi sulla via dell’iniquità. Si comprende, sotto questa prospettiva, che la santità non risulta dall’accumulo quantitativo delle opere buone, se un’opzione lucida in favore del male, è in grado di annullare un lungo periodo vissuto al servizio del bene. Tanto la santità quanto il peccato non risultano dalla quantità di opere buone o cattive, bensì dalla vicinanza o lontananza del proprio spirito rispetto a Dio. E a Dio ci si può avvicinare in un istante, anche dopo anni di vita disordinata, con un pentimento radicale, come quello del buon ladrone (cfr. Lc 23,39-43). Parimenti, in linea di principio, da Dio non ci si allontana in proporzione della quantità di opere cattive: migliaia di peccati veniali non possono separare da Dio, mentre per essere separati da Dio, basta un solo peccato mortale. In definitiva, ciò che conta è l’intensità dell’amore. E’ solo in questa proporzione che ci si unisce a Dio.
Don Vincenzo Cuffaro

giovedì 13 marzo 2014

8 giorno Ester non entra al cospetto del re e non chiede udienza, se prima non ha pregato a lungo. Da questo suo agire comprendiamo come l’azione sia sempre successiva alla preghiera, tanto nell’ordine dei valori quanto nella prassi.


 Il testo del libro di Ester coglie 
l’atteggiamento della regina Ester dinanzi a una particolare minaccia: 
lo scopo di un ministro del re, che vorrebbe sterminare il popolo d’Israele, suggerendo al re, con pretesti ingannevoli, di scatenare una persecuzione contro gli Ebrei che vivono nel suo territorio. 
La regina è ebrea di origine e sente tutta la responsabilità di un suo possibile intervento per salvare il popolo, intercedendo presso il re. Ma è parimenti consapevole del rischio mortale che correrebbe, qualora il re non dovesse tenere in alcun conto le sue motivazioni. Le potrebbe infatti accadere di essere eliminata insieme alla gente della sua stirpe. Il testo sottolinea come la regina Ester faccia precedere la preghiera all’azione. Ester non entra al cospetto del re e non chiede udienza, se prima non ha pregato a lungo. Da questo suo agire comprendiamo come l’azione sia sempre successiva alla preghiera, tanto nell’ordine dei valori quanto nella prassi. La preghiera di Ester contiene degli elementi fondamentali anche in relazione al modo in cui è opportuno pregare; cosa che peraltro coincide con l’insegnamento del NT. La preghiera di Ester si apre con la lode: “Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico!” (Est 4,3). La lode rappresenta indubbiamente la preghiera più eccellente. Nella Scrittura, l’eccellenza qualitativa della lode viene sottolineata ripetutamente. Dopo avere elevato a Dio la preghiera di lode, Ester avanza la sua richiesta: “Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso fuori di te, mentre sono sul punto di espormi al pericolo” (Est 4,4).
In questa preghiera di Ester cogliamo anche un ulteriore aspetto della preghiera, non meno importante. La preghiera si presenta nelle parole di Ester come un cammino graduale di maturazione spirituale. La capacità di pregare autenticamente, come la possibilità di raggiungere certe profondità di dialogo col Signore, non deriva da una tecnica, o da una metodologia appresa, bensì da un cammino graduale, durante il quale la persona entra in un’intimità sempre più profonda con lo Spirito di Dio, come del resto avviene in ogni relazione anche a livello umano; con il tempo e con la condivisione dell’esperienza, ogni rapporto personale si intensifica e si approfondisce. Ogni amico, la cui vicinanza ci accompagna per diversi anni, si inoltra a poco a poco verso le profondità della nostra vita. L’amicizia al suo nascere non è mai tanto profonda quanto lo è alcuni decenni dopo. Anche la preghiera risponde alla medesima logica relazionale. Si tratta di un’amicizia con Dio. Si tratta di un dialogo tra persone che si vogliono bene. Per entrare nell’intimità divina, occorre vivere a lungo a contatto con Lui. E’ una pretesa ingannevole quella di bruciare le tappe nel cammino della preghiera. Non si giunge a certi livelli di preghiera senza un cammino profondo di comunione con Dio e di intimità con Lui. 
Don Vincenzo Cuffaro

mercoledì 12 marzo 2014

7 giorno la conversione è un dono di grazia, ed è un fenomeno principalmente interiore, ma è al tempo stesso un dono collegato agli eventi della vita, a fatti e personaggi che costellano la nostra esperienza, ed è ancora un dono alimentato da una riflessione matura sul mondo e sull’uomo.


Il tema delle letture odierne è ancora la conversione, considerata nel suo stadio iniziale. 
Le letture odierne rispondono alla domanda sulla causa scatenante della conversione, ovvero su ciò che innesca il processo che porta l’uomo a convertirsi. 
Ci viene risposto che la causa interiore della conversione è un dono di Dio, che noi non possiamo prevedere né pretendere; ma il dono di Dio, che sembra consistere in una particolare luce interiore, è stimolato da qualcosa che accade fuori di noi. 
In sostanza, la conversione è un dono di grazia, ed è un fenomeno principalmente interiore, ma è al tempo stesso un dono collegato agli eventi della vita, a fatti e personaggi che costellano la nostra esperienza, ed è ancora un dono alimentato da una riflessione matura sul mondo e sull’uomo.
Le letture odierne sono tenute insieme dalla figura del profeta Giona. 
La prima lettura presenta il quadro della predicazione di Giona nella grande città di Nìnive, 
mentre il vangelo di Luca riporta un’espressione di Gesù proprio in riferimento a Giona e alla sua predicazione. 
Questo collegamento delle due letture, basato sulla figura di Giona, scaturisce dal tema della Parola di Dio predicata come principale causa esterna, di cui Dio si serve per produrre internamente, a livello del cuore, un movimento di pentimento e di ritorno verso Dio.
Don Vincenzo Cuffaro

martedì 11 marzo 2014

6 giorno Per una persona che sperimenta la realtà della conversione è quasi impossibile, da quel momento in poi, trattare gli altri con indifferenza, esercitare la propria professione senza una grande attenzione alla persona umana...


La Parola odierna ritorna su un tema che abbiamo toccato ieri 
sotto un certo punto di vista 
e che oggi ci viene riproposto sotto un altro. 
Si tratta dei segni che accompagnano la conversione dell’uomo. 
Le letture di questi giorni ci hanno messo in guardia 
dinanzi alla possibilità di ingannarci, 
perché la conversione non è mai un fatto soltanto interiore, 
che si svolge nel segreto della coscienza, 
ma è un evento che porta inevitabilmente con sé dei fenomeni esterni e visibili. 
Uno di essi è il cambiamento della qualità dei rapporti con il prossimo, 
nel senso che la relazione con l’altro diventa 
un’esperienza fondamentalmente ispirata dall’amore. 
Per una persona che sperimenta la realtà della conversione 
è quasi impossibile, da quel momento in poi, 
trattare gli altri con indifferenza, 
esercitare la propria professione senza una grande attenzione alla persona umana, 
e, più in generale, ciò che accade è 
lo scioglimento di tutte quelle forme di indurimento, 
che ostacolano una relazione con gli altri autenticamente umana. 
La qualità dell’amore del prossimo è però solo uno dei segni 
che accompagnano la grazia della conversione, 
manifestandola nei suoi effetti visibili.

lunedì 10 marzo 2014

5° giorno La dolcezza e la consolazione che si prova nei momenti di preghiera o nella meditazione della Parola, non è la prova della nostra comunione con Dio. Tale prova si ha solo nell’amore per il prossimo.


La liturgia odierna accosta due letture che riguardano entrambe l’amore verso il prossimo. Il significato generale è che la conversione a Dio, quando è autentica, produce sempre un profondo mutamento nelle relazioni con il prossimo. Possiamo affermare senz’altro che la qualità delle relazioni con il prossimo è una chiara indicazione della qualità del rapporto che abbiamo instaurato con Dio. Di fatti, quando questo salto di qualità, sul piano relazionale, non si verifica, è segno che non c’è stata neppure la conversione. I brani di oggi vogliono dirci in sostanza proprio questo: l’amore di Dio e l’amore del prossimo non si possono mai separare, perché se uno ama Dio, avviene inevitabilmente che inizia ad amare anche il prossimo, nella medesima proporzione in cui ha iniziato ad amare Dio. In concreto possiamo desumere la misura con cui amiamo Dio, dalla misura con cui amiamo il prossimo. In questo modo nessuno può ingannare se stesso. La dolcezza e la consolazione che si prova nei momenti di preghiera o nella meditazione della Parola, non è la prova della nostra comunione con Dio. Tale prova si ha solo nell’amore per il prossimo.
 Don Vincenzo Cuffaro

domenica 9 marzo 2014

Quando ci si sente colpiti da qualche suggestione non è tempo di complessi ragionamenti, con la speranza di uscirsene a forza di parole, ma è tempo di silenzio interiore e di ritorno alla Parola.


Il tempo di Quaresima si apre con una grande meditazione 
sugli eventi cruciali che hanno come protagonisti 
Adamo e Cristo. 
Entrambi si trovano 
a confronto con un interlocutore extraumano 
e entrambi si trovano soli 
dinanzi a una potente suggestione. 
Adamo 
(ricordiamo, per inciso, che Adam in ebraico indica l’umanità nel suo insieme, e dunque la completezza uomo-donna) 
ne esce sconfitto, 
Cristo indica invece la metodologia della vittoria 
col suo esempio personale. 
Così, 
da un uomo è venuta la Morte, 
e da un Uomo è venuta la Vita. 
Non si tratta però di un semplice atto di controbilanciamento: 
la Vita che viene da Cristo è sovrabbondante 
rispetto alla Morte ereditata da Adamo. 
Si può facilmente cogliere la logica che ispira l’accostamento delle letture odierne, 
se si considera come la prima lettura costituisca una specie di controparte della narrazione evangelica. 
In entrambi i testi 
si trova la medesima tipologia di un uomo originario 
messo alla prova da una creatura extraumana. 
La seconda lettura accosta le due figure tipologiche l’una all’altra 
per trarne gli estremi di una storia di salvezza. 
Il parallelismo tra la prima lettura e il vangelo 
risalta in maniera molto più evidente se si parte dalla finale del brano di Genesi, 
e precisamente dalla triplice suggestione 
che la donna avverte osservando l’albero dell’Eden: 
era buono da mangiare
gradevole agli occhi 
e desiderabile per acquistare saggezza” (v. 6). 
Sembra che Cristo, nel deserto, 
si trovi dinanzi a una suggestione molto simile: 
c’è uno stimolo 
che riguarda il bisogno fisico della fame: “di’ che queste pietre diventino pane” (v. 3); 
c’è una suggestione 
che interessa lo sguardo: “gettati giù; sta scritto infatti. <<Ai suoi angeli darà ordini […] ed essi ti porteranno sulle loro mani […]>>” (v. 6); 
e una suggestione che riguarda la volontà di potenza: “gli mostrò tutti i regni del mondo […] e gli disse: <<Tutte queste cose io ti darò […]>>” (vv. 8.9). 
Sembra che dopo tanti millenni la strategia del diavolo non sia cambiata. 
O meglio, è l’uomo che non è cambiato, 
e perciò non è cambiata neanche la tecnica satanica di attacco. 
Cerca infatti di fiaccare la resistenza della creatura umana, 
cominciando dalle sue necessità fisiche, 
per raggiungere, in un secondo tempo, anche il suo spirito. 
E tutto questo può riuscirgli, 
ma solo dopo che ha cancellato il senso della paternità di Dio nella coscienza umana. 
Queste tre suggestioni attecchiscono nel cuore dei progenitori, 
dopo che, nella loro coscienza, 
Dio è divenuto un nemico; 
la proibizione si spiega allora non come un atto protettivo, 
ma come un atto mortificante. 
E anche qui, è sempre la stessa strategia: 
la volontà di Dio è di solito presentata, 
nell’inganno satanico, 
come una realtà contro l’uomo 
e non a favore della sua dignità
Come se Dio avesse un qualche interesse a chiudere le strade dell’uomo. 
Alla luce dell’atteggiamento di Gesù verso il nemico extraumano, 
si capisce che Eva ha commesso un errore fondamentale: 
si è messa a dialogare con lo spirito del male
ed è caduta in trappola. 
La forza dialettica e la potenza persuasiva del maligno 
superano qualunque sofista e qualunque sottile ragionatore che si crede furbo. 
Cristo dimostra praticamente che 
l’uomo non deve mettersi a tu per tu con chi è troppo più intelligente di lui. 
E lo fa, rispondendo allo spirito delle tenebre, 
con frasi brevi e di senso compiuto, 
ma soprattutto attinte dalle Scritture. 
Quando ci si sente colpiti da qualche suggestione 
non è tempo di complessi ragionamenti, 
con la speranza di uscirsene a forza di parole, 
ma è tempo di silenzio interiore e di ritorno alla Parola.  
Don Vincenzo Cuffaro