sabato 3 agosto 2013

La vocazione non è mai un’immagine che noi ci facciamo! La vocazione è una cosa che viene da Dio. È come il nome con cui il Signore ci chiama, ma che non è il nome che ci siamo dati noi, e tuttavia c’è una dinamica che ci porta dal nostro nome al nome che lui ci dà.

Che cosa mi è successo quando io sono diventato credente?
Cristiani non si nasce!
Che cosa è successo in me quando ho cominciato a credere e mi sono compromesso con questa fede fino a giocarmi la mia vita? [...]
Ritornare al mio principio:
non solo della mia creazione, perché quello non è dipeso da me;
io non ho deciso di venire al mondo, ma io mi sono trovato messo al mondo.
Ciascuno di noi è gettato nel mondo!
Io non ho preso parte a questo fatto di esserci; nessuno mi ha consultato!
Invece si tratta di essere credente o non;
non è automatico e nemmeno è un’iniziativa mia, una scelta mia.
La fede non è una scelta nostra.
Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata e
ci possono essere dei momenti un po’ come quando Gesù dice a Pietro o agli altri:
Volete andarvene anche voi?
Forse pensiamo: non sarebbe mica male andarsene, ma non è possibile!
Tu solo hai parole di vita eterna.
Oppure come diceva Tommaso Didimo, quando Gesù voleva andare a vedere Lazzaro perché era morto:
Signore, volevano ucciderti adesso anche a te e ritorniamo là?
E Gesù insiste nel voler andare;
alla fine Tommaso dice:
Beh, andiamo, moriamo anche noi con lui!
Dove andiamo al di fuori di Gesù?
Io non troverei proprio nessuna ragione di vivere.
Ognuno lo può sentire nelle sue tonalità del momento, della storia, dell’età,
ma dobbiamo ritornare a questa radice
che è il dono che Dio ci ha fatto della fede e la risposta che ha trovato spazio in noi,
perché in questo principio c’è una promessa, una prospettiva…
ciascuno di noi se l’è fatta a sua immagine, un’immagine puerile, infantile, artificiale…
La vocazione non è mai un’immagine che noi ci facciamo!
La vocazione è una cosa che viene da Dio.
È come il nome con cui il Signore ci chiama, ma che non è il nome che ci siamo dati noi,
e tuttavia c’è una dinamica che ci porta dal nostro nome al nome che lui ci dà.
C’è un progetto di vita che poi si è andato svolgendo e che oggi ci trova al nostro posto.
Ma qualunque sia il punto a cui noi siamo arrivati, ci dobbiamo domandare:
e io chi sono in questo posto, che cosa sono diventato?
Io, come uomo, come credente, come persona,  io come essere davanti al Signore.
(P. Francesco Rossi De Gasperis, Vivere nella nuova alleanza da Geremia a Gesù).

venerdì 2 agosto 2013

La perdita della libertà consiste nell’assoggettarsi alla tirannia dell’automatismo, sia nel capriccio della nostra ostinazione o nei ciechi dettami del despotismo, del convenzionalismo, dell’abitudine o della semplice inerzia collettiva.



Thomas Merton

Semi di contemplazione

26. Libertà nell’obbedienza

Per capire il pieno valore dell’obbedienza spirituale dobbiamo fare un’attenta distinzione tra
caparbietà
e libertà genuina.
Questa distinzione è della massima importanza,
perché siamo chiamati alla libertà nell’obbedienza
e non al mero sacrificio di ogni indipendenza
per sottostare all’autorità come macchine.
La libertà più alta si trova nell’obbedire Dio.
La perdita della libertà
consiste nell’assoggettarsi alla tirannia dell’automatismo,
sia nel capriccio della nostra ostinazione
o nei ciechi dettami del despotismo, del convenzionalismo, dell’abitudine o della semplice inerzia collettiva.
Una delle illusioni più comuni è che, con l’opporre i miei capricci ai dettami dell’autorità,
io manifesto la mia libertà.
Agisco «spontaneamente». Ma questa non è vera spontaneità e non conduce all’autentica libertà. È licenza invece che libertà.
Certamente, anche questa spontaneità imperfetta può essere in sé preferibile alla morta routine di un convenzionalismo passivo,
ma ciò non dovrebbe impedirci di vederne i limiti evidenti.
Eppure oggi molti trovano assai difficile capire l’obbedienza religiosa,
proprio perché avvertono
che è troppo esigere il sacrificio della propria «personalità» e della propria «spontaneità».
In verità, il problema è spesso molto confuso.
Da una parte il soggetto può voler sfuggire alla responsabilità.
Dall’altra, il superiore può essere mosso da capriccio o immaturità,
non essendo egli stesso all’altezza di assumersi tutte le responsabilità del suo ufficio.
Solo chi ha personalmente imparato a obbedire intelligentemente
sa comandare intelligentemente.
Così facendo, egli conosce il vero valore dell’obbedienza per il soggetto e lo stretto limite dei propri poteri.
Una volta ammesso francamente che la prudenza del superiore e la sua capacità di assumersi le responsabilità del suo ufficio sono di grande importanza,
bisogna anche ricordare che il soggetto deve sapere obbedire al suo superiore attuale, anche se non è all’altezza della situazione.
Il soggetto può essere conscio o meno che la propria condizione non è l’ideale; ma ciò non deve influire sulla sua volontà di obbedire.
La carità esige che egli ignori le eventuali debolezze di chi sta sopra di lui e il buon senso gli impone una certa prudenza nel giudicare e criticare le decisioni del suo superiore.
Dopo tutto, nessuno è buon giudice della propria causa,
e siamo tutti inclini a lasciarci influenzare dal pregiudizio e dalla caparbietà
nello scorgere deficienze inesistenti.
Quindi, anche senza voler restare deliberatamente ciechi di fronte alla verità,
dobbiamo convincerci che ci sarà di gran profitto esercitare l’obbedienza anche di fronte a ordini non sempre ragionevoli e prudenti.
Nell’agire così non chiudiamo gli occhi all’evidenza dei fatti né vogliamo ingannarci; ma accettiamo semplicemente la situazione per quella che è, con tutti i suoi difetti, e obbediamo per amore di Dio.
Per fare questo dobbiamo giungere a una decisione molto ragionata e libera,
che in alcuni casi può essere molto difficile.
Nessuno può diventare santo o contemplativo abbandonandosi stupidamente a un concetto troppo semplicistico dell’obbedienza.
Sia in chi obbedisce che in chi comanda,
l’obbedienza presuppone una consistente dose di prudenza;
e prudenza significa responsabilità.
Obbedire non è abdicare alla libertà,
ma fare uso prudente di questa a condizioni ben definite.
Ciò non facilita in nessun modo l’obbedienza
né può essere considerato un mezzo per evitare di assoggettarsi all’autorità.
Al contrario un’obbedienza di questo genere fa pensare a una mente matura,
capace di prendere risoluzioni difficili e di ben comprendere ordini difficili,
eseguendoli con precisione e fedeltà alle volte veramente eroiche.
Una simile obbedienza non è possibile senza un’ampia riserva di perfetto amore spirituale.

giovedì 1 agosto 2013

Poiché hanno preferito il piacere e le emozioni ai sacrifici austeri imposti da una fede genuina, le loro anime sono diventate stagnanti.



Thomas Merton

Semi di contemplazione

26. Libertà nell’obbedienza

L’uomo più pericoloso del mondo è il contemplativo
che non si lascia guidare da nessuno.
Egli fida solo nelle sue visioni.
Obbedisce ai suggerimenti di una voce interiore ma non ascolta gli altri.
Identifica la volontà di Dio con tutto ciò
che gli fa provare in cuore una grande luce piena di calore e di dolcezza;
più dolce e più caldo è tale sentimento,
più egli si convince della propria infallibilità.
E se la pura forza della sua fiducia in se stesso si comunica agli altri e
dà loro l’impressione che egli sia veramente un santo,
un tale uomo può rovinare
una intera città o un ordine religioso o anche una intera nazione:
il mondo è coperto dalle cicatrici che sono state inferte nelle sue carni da simili visionari.
Spesso, tuttavia, persone simili non sono altro che innocui seccatori.
Essi si aggirano in un vicolo cieco spirituale
e qui si adagiano in un piccolo
e tranquillo nido di emozioni private.
Nessuno in realtà può essere portato ad invidiarli o ad ammirarli,
perché anche coloro che nulla sanno della vita spirituale possono in certo modo intuire
che tali uomini hanno ingannato se stessi uscendo dalla realtà
e si sono accontentati di un’apparenza.
Sembrano felici, ma non vi è nulla di attraente o di contagioso nella loro felicità.
Sembrano in pace, ma la loro pace è vuota e inquieta.
Hanno molto da dire, e tutto ciò che dicono è un messaggio con la «M» maiuscola, eppure non convincono nessuno.
Poiché hanno preferito il piacere e le emozioni ai sacrifici austeri imposti da una fede genuina,
le loro anime sono diventate stagnanti.
La fiamma della vera contemplazione si è spenta.
Quando sei guidato da Dio nelle tenebre dove sta la contemplazione, non puoi rimanere nella falsa dolcezza della tua volontà.
L’illusoria soddisfazione interna dell’autocompiacimento e
dall’assoluta fiducia nel tuo giudizio non potrà mai ingannarti completamente:
ti sentirai un po’ disgustato ed un vago senso di nausea interiore
ti forzerà ad aprirti e a lasciar uscire il veleno.

mercoledì 31 luglio 2013

le decisioni del suo superiore non sembrano a volte troppo sagge; ma questo non lo riguarda, perché egli accetta il superiore come mediatore fra lui e Dio


Thomas Merton
Semi di contemplazione

26. Libertà nell’obbedienza

Le difficoltà estreme che ostacolano la strada di coloro
che cercano libertà interiore e purezza d’amore
insegnano loro ben presto ch’essi non possono avanzare da soli,
 e lo Spirito di Dio dà loro il desiderio dei mezzi più semplici
per dominare il proprio egoismo e la propria cecità di giudizio.
Ed ecco l’obbedienza al giudizio e alla direzione altrui.
Uno spirito che tende veramente a Dio nella contemplazione imparerà presto il valore dell’obbedienza:
le difficoltà e le angustie che quotidianamente incontra
sotto il peso del suo egoismo,
della sua inettitudine,
della sua incompetenza e
del suo orgoglio
gli daranno la brama di essere
guidato, consigliato e diretto da qualcun altro.
La sua volontà diventerà fonte di tanta miseria e di tanta tenebra
che egli non andrà da un altro solo per cercare luce o saggezza o consiglio:
egli giunge ad avere una passione per l’obbedienza in se stessa,
per rinunciare alla propria volontà e ai propri lumi.
Quindi egli non obbedisce al suo abate o al suo direttore semplicemente
perché i comandi o i consigli che gli vengono dati sembrano buoni e vantaggiosi e intelligenti ai suoi occhi.
Egli non obbedisce perché crede che l’abate prenda decisioni ammirevoli.
Al contrario, le decisioni del suo superiore non sembrano a volte troppo sagge;
ma questo non lo riguarda,
perché egli accetta il superiore come mediatore fra lui e Dio e
riposa soltanto nella volontà di Dio quale gli giunge attraverso gli uomini
che le circostanze della sua vocazione hanno posto sopra di lui.

martedì 30 luglio 2013

Perché il santo predica con il suo modo di camminare, di fermarsi, di sedere, di raccogliere qualcosa e di stringerla fra le mani.


Thomas Merton
Semi di contemplazione

26. Libertà nell’obbedienza

Ma l’attività di un contemplativo
deve nascere
dalla sua contemplazione e deve rassomigliarle.
Tutto ciò che egli fa al di fuori della contemplazione
deve riflettere la luminosa tranquillità della sua vita interiore.
A questo fine,
egli deve cercare nella sua attività
ciò che trova nella sua contemplazione:
il contatto e l’unione con Dio.
Per quanto poco tu abbia appreso di Dio nella preghiera mentale,
commisura i tuoi atti a questo poco:
regolali su questo metro.
Fa’ si che tutta la tua attività fruttifichi
nello stesso vuoto, nello stesso silenzio e nello stesso distacco
che hai trovato nella contemplazione.
In ultima analisi il segreto di tutto ciò è
un perfetto abbandono alla volontà di Dio nelle cose
che non dipendono da te,
una perfetta obbedienza a Lui in tutto quello
che dipende dalla volontà tua,
così che in tutto, nella tua vita interiore e nelle tue opere esterne per Dio,
tu desideri una cosa soltanto:
l’adempimento della Sua volontà.
Se farai ciò, la tua attività parteciperà a quella pace disinteressata
che sai trovare nella preghiera e nella semplicità delle cose
che fai gli uomini riconosceranno la tua pace e daranno gloria a Dio,
soprattutto in questa silenziosa e inconscia testimonianza
all’amore di Dio che i contemplativi esercitano il loro apostolato.
Perché il santo predica
con il suo modo di camminare, di fermarsi, di sedere, di raccogliere qualcosa e di stringerla fra le mani.
Coloro che sono perfetti non hanno bisogno di riflettere sui particolari delle proprie azioni.
Sempre meno consci di se stessi,
essi cessano ad un dato momento di aver coscienza di essere loro ad agire,
e a poco a poco Dio comincia a fare, in loro e per loro,
tutto ciò che essi fanno;
per lo meno nel senso che l’abitudine al Suo amore è divenuta per loro una seconda natura e informa tutto ciò che essi fanno con la Sua somiglianza.

lunedì 29 luglio 2013

Lungi dall’essere opposte per loro natura, la contemplazione interiore e l’attività esterna sono due aspetti dello stesso amore di Dio.


Thomas Merton
Semi di contemplazione

26. Libertà nell’obbedienza

Credi che la via alla santità
sia quella di chiuderti fra i tuoi libri, le tue preghiere e le meditazioni
che ti piacciono, ti interessano, ti proteggono,
con molteplici barriere, contro chi tu consideri sciocco?
Credi forse che la via alla contemplazione
si trovi nel rifiutare attività e opere
che sono necessarie al bene altrui
ma che forse ti annoiano e ti distraggono?

Credi forse di trovare Dio
col chiuderti in un bozzolo di piaceri estetici e spirituali,
invece di rinunciare a tutti i tuoi gusti, desideri, ambizioni, soddisfazioni per amore di Cristo,
che non vivrà in te fino a quando tu non Lo troverai negli altri?

Lungi dall’essere opposte per loro natura,
la contemplazione interiore e l’attività esterna
sono due aspetti dello stesso amore di Dio.

domenica 28 luglio 2013

Non vi è infatti mezzo migliore per liberarsi dalla rigidità, dalla durezza, dalla volgarità del nostro egoismo congenito, ostacolo insuperabile alla luce infusa e all’azione dello Spirito di Dio.

Trovo molta consolazione quando leggo Thomas Merton perché trovo il suo pensiero molto lucido che mi chiarisce quanto sto vivendo.

Thomas Merton
Semi di contemplazione
26. Libertà nell’obbedienza
       
Pochissimi uomini si santificano nell’isolamento. 
Pochissimi diventano perfetti in solitudine assoluta.
Vivere con gli altri ed
imparare a perdersi nella comprensione delle loro debolezze e delle loro deficienze
ci aiuta a diventare veri contemplativi.
Non vi è infatti mezzo migliore per liberarsi
dalla rigidità,
dalla durezza,
dalla volgarità del nostro egoismo congenito,
ostacolo insuperabile alla luce infusa
e all’azione dello Spirito di Dio.
Anche la coraggiosa accettazione delle prove interiori in perfetta solitudine
non può sostituire completamente l’opera di purificazione che si compie in noi
attraverso la pazienza e l’umiltà,
amando il prossimo
e simpatizzando con le sue richieste più irragionevoli.
C’è sempre pericolo che gli eremiti non facciano che inaridirsi e indurirsi nella loro eccentricità. Vivendo lungi dal contatto con gli altri,
essi tendono a perdere quel profondo senso delle realtà spirituali
che solo il puro amore può dare.