sabato 21 dicembre 2013

diciamo che questa è l'ultima volta; che non ci cascheremo mai più. Ma sappiamo che non è vero

Quando non ce la facciamo più...


Signore, noi siamo i "soliti fessi".
Quelli che "al dunque" non si tirano indietro.
Quelli che non sanno mai trovare la scusa per dire "Non sono potuto venire"
Quelli che dicono: "Ormai ci siamo impegnati, non possiamo tirarci indietro".
Quelli che si ritrovano "sempre gli stessi" a lavorare, a sgobbare.
Quelli che devono inghiottire amari bocconi perché gli altri oltre a non lavorare ti prendono anche in giro. Signore, è duro.
Siamo sempre in tanti ad avere idee, a progettare, a programmare.
Ma poi, a lavorare, chi scappa di qua, chi fugge di là, chi non può,
chi non si ricorda. E noi siamo i "soliti fessi".
Ci arrabbiamo, diciamo che questa è l'ultima volta; che non ci cascheremo mai più. Ma sappiamo che non è vero. Perché non siamo soli. Ci sei Tu. Tu non hai mai tagliato la corda.
Aiutaci a stare in tua compagnia: anche Tu ci sei sempre!
(don Tonino Lasconi)

venerdì 20 dicembre 2013

Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa.

"Io non sono vecchio!
Non vogliono dir nulla settantaquattro anni!
Cinquant'anni non sono nulla, non mi separano affatto dalla giovinezza.
Se mi volto, dietro le mie spalle c'è la giovinezza chiara, nitida,
e dietro c'è la fanciullezza, ancora più chiara e nitida di quando avevo vent'anni.
I pensieri sono con me, li devo ancora sviluppare, e così i sentimenti, i desideri:
li devo ancora appagare!
Io non sono affatto sazio di vita,
comincio appena ora ad assaporarla!
Perché mi mettete addosso questi dolori artritici,
queste rughe che mi fanno ghignare mentre non ghigno affatto, queste borse di pelle?
Perché m'impastoiate come un mulo e mi accecate?
Perché mi otturate le orecchie?
E perché mi guardate con quegli occhi che trovano naturale che io muoia?
C'è un errore, ve lo giuro!
Arrivate alla mia età e ve ne accorgerete!
Ma allora avrete anche voi un bel gridare,
e quelli che avranno i venti, i trenta, i quaranta, i cinquant'anni che adesso avete voi
non vi crederanno,
e vi conforteranno col tono bonario che si usa con i pazzi
quando dicono d'essere sani!".
Paolo uscì; tremava leggermente.
Come poteva un uomo ridursi così? 
Era chiaro: 
niente mai 
meditazione, 
niente mai 
volontà, 
niente mai 
autocritica, 
e quindi 
niente coraggio, 
niente dignità, 
niente luce intellettuale, 
niente superiorità sulla morte. 
Lo spirito, 
relegato nella stiva del corpo, 
costretto a servirlo per renderne infiniti i godimenti, 
ora si limitava a sbattere le sue catene per annunziare 
che il padrone colava a picco.

Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa.

L'anima è eterna, e quello che non fa oggi, può farlo domani.

L'avvenire non è un probabile dono del ciclo, ma è reale, legato al presente come una sbarra di ferro, immersa nel buio, alla sua punta illuminata.

Un uomo può avere due volte vent'anni, senz'averne quaranta.
Paolo il caldo Vitaliano Brancati

giovedì 19 dicembre 2013

Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza

"È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio."
"Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare."
"Nell'ordine, il momento di tacere deve venire sempre prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente."
"Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza, ma parlare quando si dovrebbe tacere, è segno di leggerezza e scarsa discrezione."
"Quando si deve dire una cosa importante, bisogna stare particolarmente attenti: è buona precauzione dirla prima a se stessi, e poi ancora ripetersela, per non doversi pentire quando non si potrà più impedire che si propaghi."
"Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo: in questi casi l'ultima cosa da temere è saper conservare il silenzio."
"Il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita, non è virtù minore dell'abilità e della cura richieste per parlare bene; e non si acquisisce maggior merito spiegando ciò che si fa piuttosto che tacendo ciò che si ignora.''
"Si è naturalmente portati a pensare che chi parla poco non è un genio, e chi parla troppo, è uno stolto o un pazzo: allora è meglio lasciar credere di non essere genii di prim'ordine rimanendo spesso in silenzio, che passare per pazzi, travolti dalla voglia di parlare."
"Qualunque sia la disposizione che si può avere al silenzio, è bene essere sempre molto prudenti; desiderare fortemente di dire una cosa, è spesso motivo sufficiente per decidere di tacerla."
"Il silenzio è necessario in molte occasioni; la sincerità lo è sempre: si può qualche volta tacere un pensiero, mai lo si deve camuffare. Vi è un modo di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza apparire tristi e taciturni, di non rivelare certe verità senza mascherarle con la menzogna."
''L'arte di tacere'' - Abate Dinouart

mercoledì 18 dicembre 2013

ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.


La nostra vita è un’opera d’arte
– che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no.
Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo
– come ogni artista, quale che sia la sua arte
– porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata;
dobbiamo scegliere obiettivi che siano
(almeno nel momento in cui li scegliamo)
ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza
irritanti per il loro modo ostinato di stare
(almeno per quanto si è visto fino allora)
ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo tentare l’impossibile.
E possiamo solo sperare
– senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe
– di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida.
L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana,
sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane.
Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità.
È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi:
come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.
Zygmunt Bauman, L’arte della vita

martedì 17 dicembre 2013

abbiamo ormai troppi ricordi finiti tutti quanti in nostalgia


Dimmi l'addio che non riesco a dire.
Finire è nulla: perderti è più grave.
Insieme abbiamo ormai troppi ricordi
finiti tutti quanti in nostalgia.
Penso commosso e sento nella gola
il pianto che aprirebbe la mia bocca.
Allora apro le labbra, fingo e rido!
Anonimo arabo, XI secolo d.C.

lunedì 16 dicembre 2013

Un'occasione eccezionale per ricordare per un attimo di che si è parlato a luce spenta

Oggi vorrei perdermi nell'eco infinito del soffio dell'anima di questi sospiri di vita.

La vita
è il solo modo
   per coprirsi di foglie,
          prendere fiato sulla sabbia,
          sollevarsi sulle ali;
          essere un cane,
          o carezzarlo sul suo pelo caldo;
     distinguere il dolore
     da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
      Un'occasione eccezionale
      per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
      e almeno per una volta
      inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l'erba;
e seguire con gli occhi
una scintillanel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d'importante.
      Wislawa Szymborska

domenica 15 dicembre 2013

mamma mi disse che i libri erano capaci di cambiare, con gli anni, proprio come cambiano le persone


(…) Un giorno, avrò avuto sette otto anni, eravamo seduti al penultimo posto nell’autobus, diretti
forse all’ambulatorio forse a un negozio di scarpe per bambini, mamma mi disse che i libri erano
capaci di cambiare, con gli anni, proprio come cambiano le persone, ma con la differenza che le
persone, quasi tutte, prima o poi finisce che ti abbandonano, quando arriva il giorno che non
ricavano da te più nessun profitto o piacere o interesse o quanto meno un buon sentimento, mentre i
libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li
tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa
umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale. Aspettano financo decenni. Senza lamentarsi. Finché un
giorno, magari alle tre di notte, hai improvvisamente bisogno di uno di loro, e anche se magari l’hai
abbandonato, quasi cancellato dalla tua mente, per anni e anni, lui non ti delude, scende dal suo
posto e ti sta accanto, nel momento del bisogno. Senza sussiego, senza inventarsi delle scuse, senza
domandare a se stesso se gli convieni e lo meriti e se gli vai ancora bene, viene a te non appena lo
chiami. Non ti tradisce mai (…).
Come s’intitolava il primo libro che lessi da solo? Per meglio dire, papà me lo aveva letto prima di
dormire talmente tante volte che alla fine evidentemente lo sapevo a memoria. Allora portai il libro
a letto e lo declamai tutto, dalla prima all’ultima parola, facendo finta di leggere, imitando papà,
voltando pagina nel punto preciso fra le parole, proprio come faceva papà leggendo.
L’indomani gli chiesi di accompagnare col dito la lettura, e seguii attentamente il tragitto della sua
mano nella lettura; la cosa si ripeté per cinque, sei volte, sicché dopo alcuni giorni sapevo ormai
riconoscere tutte le parole dalla forma e dalla posizione nella riga (…).
[tratto da Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, Feltrinelli]