sabato 9 giugno 2012

Rallegratevi con me


Quando fin dall'aurora 
sperimentate la gioia di vivere,
incrociando gli occhi dei vostri vicini,
pronti a ricominciare una nuova giornata,
con il desiderio di lavorare per il Regno,
«Rallegratevi con me».

Quando siete chiamati a dialogare nella famiglia, 
accogliendo l'altro nella sua unicità, 
disposti a servire i fratelli che vi sono accanto
con la stessa gratuità e tenerezza di Cristo,
«Rallegratevi con me».
Quando sperimentando la fatica delle relazioni,
sentite nel vostro cuore le resistenze ad amare,
timorosi di fare il primo passo nell'umiltà,
eppure vi lasciate portare 
dalla speranza nel Vangelo, «Rallegratevi con me».
Quando gli altri, per causa Sua, 
diranno male di voi, 
accusandovi ingiustamente 
a motivo della testimonianza alla verità, 
soli di fronte al mondo 
e deboli di fronte agli uomini, 
nella consapevolezza che lo Spirito
rinnoverà il cuore, 
«Rallegratevi con me».
Quando vi passeranno davanti 
con la protervia dell' autoritarismo,
ritenendovi inutili per quello che siete e valete,
e vi relegheranno nei luoghi comuni 
della commiserazione, 
ma voi continuerete a servire 
e a testimoniare la forza di vivere,
«
Rallegratevi con me».
Quando i fratelli vi domanderanno 
ragione della vostra fede, 
e voi senza paura narrerete 
le meraviglie di Dio, 
mostrando come i superbi cadono 
e i piccoli vengono esaltati, 
sforzandovi di entrare per la porta stretta 
del dono di sé, 
«Rallegratevi con me».
Quando avrete compreso 
che la vostra missione volge al termine,
e avrete fatto tutto quello che Dio 
vi aveva chiesto, 
sperimentando di essere stati 
«servi inutili» 
nella gratuità, 
con il cuore grato alla Chiesa 
e nell'attesa dell'Ultimo,
«Rallegratevi con me».

Giuseppe De Virgilio PER ME IL VIVERE È CRISTO! 
Una lettura vocazionale di Fil 1,12-2,18
 
Editrice Rogate 2008

venerdì 8 giugno 2012

sviluppare una sana autostima


Per sviluppare una sana autostima bisogna imparare a perdonare a se stessi quello che si è e quello che non si è, quello che si ha e quello che non si ha. Comprendere la nostra fragilità e la nostra vulnerabilità. Non si tratta di indulgere in modo lassista nei confronti dei nostri difetti, vizi o debolezze: ma di non fame una malattia e di non stupirci più di tanto della loro presenza. Talvolta siamo talmente esigenti con noi stessi da non riuscire a perdonarci neanche quando non avremo potuto comportarci in modo diverso.
F. Perls scriveva che spesso siamo divisi in due aree: una parte vittima e una parte carnefice. Il carnefice è riconoscibile dalle esigenze morali e da un forte senso del dovere, in realtà le sue richieste sono corrette, egli ha ragione e quello che richiede è sostanzialmente giusto. Ma lo esige in modo aggressivo e violento. La vittima è la parte infantile di noi stessi, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti, amante del gioco, della compagnia, dell'ozio, del divertimento, delle cose che danno soddisfazione, del piacere...; ma essa si sente continuamente rimproverare ed,opprimere dal carnefice, con conseguente senso di colpa, di autobiasimo. Se permane questa frattura fra questi due protagonisti della vita interiore, il soggetto sperimenterà ansia, angoscia, paura e timore e non sarà mai in pace con se stesso. Solo quando i due cominceranno ad avvicinarsi, a dialogare e comprendersi, si otterrà la pacificazione interiore. Cerchiamo, allora, di migliorarci e di progredire, in modo tranquillo, sereno, fiducioso. Anzi, come ci ricordava in continuazione Francesco di Sales, approfittiamo del­le nostre stesse debolezze e cadute per diventare più attenti, più devoti e più umili. Scoraggiarsi, o innervosirsi, o adirarsi, o stupirsi delle nostre debolezze è un segno di orgoglio, insegnava il vescovo di Ginevra. Fare la pace con se stessi implica di smettere di essere i carnefici di noi, angustiandoci e deprimendoci con i nostri sensi di colpa. 
Giuseppe Brondino - Mauro MarascaAUTOSTIMA
La ris
coperta del proprio valore

giovedì 7 giugno 2012

povero Vescovo dalla croce pettorale fatta con un pezzo di legno di un albero che cresce nella sua terra


Un vescovo l'altra sera parlava a un gruppetto di giovani. Un Vescovo dall'aspetto molto dimesso, quasi trascurato. L'unico segno visibile della sua dignità era un grosso anello di metallo bianco con una pietra rettangolare viola: anelli del genere li ho visti soltanto portare da qualche operaio o contadino. Parlava con una certa difficoltà la nostra lingua e ogni tanto si faceva aiutare dall’uditorio, molto impegnato a suggerire le parole adatte. Una immensa diocesi la sua, grande come tutto il Belgio e appena una trentina di sacerdoti. Eppure era sereno, quasi ottimista, anche se, evidentemente, questo ottimismo voleva dire e era soltanto una Fede immensa e un Amore senza limiti.
Gli traspariva la ricerca appassionata del Regno di Dio nel mondo e l'impegno totale di
servire alla Gloria di Dio e al Mistero della salvezza di tutti gli uomini.
E quindi, allora, il desiderio struggente di rendere la Chiesa pronta e aperta a tutta la sua missione di presenza viva ed efficace del Mistero di Gesù Cristo dentro l'umanità specialmente del nostro tempo. Ne risultava, coraggiosa e scoperta, una visione di tutta la realtà umana nella difficoltà dei suoi rapporti con Dio, una oggettiva constatazione della disunione del mondo cristiano e del bisogno, così tanto sentito e scoperto di obbedienza al precetto del Signore di essere, fra fratelli, una cosa sola: e le possibilità, le complicazioni storiche, geografiche, i punti positivi raggiunti e le difficoltà, in questo momento, apparentemente insormontabili...
D'altra parte questo Vescovo dalla croce pettorale fatta col legno di un albero che un tempo copriva di foreste la sua terra e dall'anello pastorale come quello di un contadino, parlava con tanta schietta semplicità e onesta immediatezza, delle tremende responsabilità che pesano sulla Chiesa di Dio del nostro tempo.
Il Concilio, diceva, è una immensa fatica per una ricerca veramente appassionata, che la Chiesa fa per rinnovarsi e, per quanto l'assoluta e perfetta fedeltà alla Verità, di cui essa è custode e maestra infallibile, le consente, di adeguarsi al momento storico in cui vive l'umanità del nostro tempo in modo da essere, come misteriosamente, ma concretamente cioè storicamente deve essere, presenza continua del Mistero d'Incarnazione del Figlio di Dio fra gli uomini, Gesù Cristo...
...

Naturalmente il parlare del Vescovo è stato molto più vivo e colorito di questo povero articolo. Ci siamo permessi però di riferirne le idee più importanti: oltre a tutto hanno anche la preziosità di una sincerità sofferta e pagata, pensiamo, molto duramente, dal momento che non finiva di ringraziare perchè una famiglia che nemmeno lo conosceva gli ha dato un letto per quella notte. E al mattino quando l'abbiamo accompagnato alla stazione, voleva portare da sé, a tutti i costi, un grosso sacco a tracolla dove aveva le sue cose personali e una pesante valigia piena di libri e fogli e fotografie da distribuire in qualche seminario nella speranza di una vocazione che andasse a fare qualche prete in più di trenta che sono nella sua diocesi. Una diocesi grande come il Belgio e parrocchie con villaggi lontani anche 150 kilometri: povero Vescovo dalla croce pettorale fatta con un pezzo di legno di un albero che cresce nella sua terra.
La Redazione
La Voce dei Poveri
Anno VIII – Viareggio – dicembre 1963 – N. 11


mercoledì 6 giugno 2012

la storia cammina


Il discorso agli aristocratici
“Noi, ben lo sapete, non siamo più il sovrano temporale, intorno ai quale nei secoli andati si raccoglievano le categorie sociali alle quali voi appartenete, Noi non siamo più per voi quelli di ieri... Ma, dicevamo, la storia cammina. Il Papa, seppur trova nella sovranità dello Stato della Città del Vaticano lo scudo e il segno della sua indipendenza da ogni autorità di questo mondo, non può e non deve ormai più che esercitare la potestà delle sue chiavi spirituali... Noi siamo ora a mani vuote; né siamo più in grado di conferire a voi uffici, benefici, privilegi, vantaggi derivanti dall'ordinamento di uno stato temporale, né siamo più in grado di accogliere i vostri servizi inerenti ad un'amministrazione civile. Ci sentiamo umanamente poveri dinanzi a voi... Dovremmo anche aggiungere che oggi il Papato, tutto assorbito nelle sue funzioni spirituali, si è prefisso un'attività apostolica che possiamo dire più ampia e nuova rispetto a quella di un tempo. La sua missione religiosa prende forme e proporzioni che non possono non modificare quelle sue strutture pratiche che i bisogni di altri tempi avevano suggerito essere opportune e necessarie. Il dovere che incombe alla Santa Sede di attendere al governo della Chiesa universale e di venire a colloquio apostolico con il mondo moderno, oggi agitato da rapide e profonde trasformazioni, la obbliga a una visione realistica delle cose che le impone, anche dolorosamente talvolta, di sceverare e di preferire nel suo retaggio di istituzioni e di consuetudine ciò che è essenziale e vitale, non già per dimenticare ma per rinvigorire i suoi veri impegni tradizionali”.
Paolo VI (1964)

martedì 5 giugno 2012

così piccolo e pieno


Se tu potessi vuotarti di te,
come una conchiglia disabitata,
Egli potrebbe trovarti su una secca dell'Oceano
e dire:  «Questi non è morto»,
e riempirti invece di Se stesso.
Ma tu sei pieno di te stesso
e hai una così intensa attività,
che quando Egli viene, dice: «Costui basta
a se stesso: è meglio lasciarlo andare;
è così piccolo e pieno, che non c'è posto per Me».
T. E. BROWN

lunedì 4 giugno 2012

Dio non è mai stato così vicino


Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, 
dietro poche decine di creature, 
troverai Dio come premio. 
Ti toccherà trovarlo per forza 
perché non si può far scuola senza una fede sicura. 
E’ una promessa del Signore contenuta nella parabola delle pecorelle, 
nella meraviglia di coloro che scoprono se stessi 
dopo morti amici e benefattori del Signor senza averlo nemmeno conosciuto. 
“Quello che avete fatto a questi piccoli ecc.”. 
E’ inutile che ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio

Dalla Lettera a Nadia – don Lorenzo Milani – Barbiana, 7.1.1966

...Questa è la missione in terra d’Africa e dappertutto: 
perdere la testa, innamorarsi dei poveri e della loro causa. 
Spendersi, giocarsi fino in fondo. 
E Dio non è mai stato così vicino. 
Ti troverai credente senza neanche accorgertene”, 
concludeva don Lorenzo nella stessa lettera.

domenica 3 giugno 2012

nutrimento troppo dolce per l'ambizione


La speranza, ecco la parola che volevo scrivere. Il resto del mondo desidera, brama, rivendica, esige, e tutto questo chiama sperare, perchè non ha né pazienza, né onore, non vuol che godere e il godimento non sa aspettare, nel vero senso della parola; l'attesa del godimento non può chiamarsi una speranza, sarà piuttosto un delirio, una agonia.
D'altronde il mondo vive troppo presto, il mondo non ha più tempo per sperare. La vita interiore dell'uomo moderno ha un ritmo troppo rapido perchè vi si formi e maturi un sentimento così ardente e così tenero.
La speranza è un nutrimento troppo dolce per l'ambizione, essa rischia di addolcire il suo cuore. Il mondo moderno non ha tempo di sperare, né d'amare né di sognare. Sono i poveri che sperano per lui come i santi amano e espiano per noi.
Bernanos