sabato 24 dicembre 2016

4. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:...la chiave più idonea per afferrare il senso profondo che il Natale ha rappresentato... eppure è Natale

Eppure è Natale…
Forse questa congiunzione potrebbe essere considerata
la chiave più idonea per afferrare il senso profondo che il Natale ha rappresentato,
in ogni tempo e in ogni latitudine,
da venti secoli a questa parte.
Eppure…

Ci si può togliere tutto,
ma non il Natale.
Anche se tutto sembra precario e appeso ad un filo,
il Natale viene.
Certo, viene come data da calendario e porta con sé il clima che conosciamo.

Tuttavia, esso porta con sé una domanda:
sei disposto a fare la prima mossa?

Siamo tutti perennemente alla ricerca
di una identità,
di una forma
che ci aiuti a realizzarci come persone.
E a volte tale ricerca è non solo affannosa ma inconcludente.
La liturgia di questa notte ci annuncia che
la nostra forma va individuata in Gesù Cristo.
Così, infatti, pregheremo tra poco:
“Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce,
e per questo scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio,
che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria”.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone


venerdì 23 dicembre 2016

3. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:... mentre subiamo le conseguenze di quella esperienza, ci riscopriamo quasi incapaci di ristabilire da soli la comunione infranta.

Ci è capitato
– oh, sì che ci è capitato, e non una volta soltanto –
di trovarci a vivere momenti di stanchezza, se non addirittura di tensione,
all’interno di qualche relazione per noi significativa.
E, mentre eravamo lì a riandare con la mente ai ricordi di quanto avevamo condiviso,
ci siamo ritrovati a chiederci:
a chi tocca fare la prima mossa?
Non diversa la situazione dell’umanità.
Quell’esperienza di comunione, sintonia, amicizia, condivisione
che ha caratterizzato il rapporto dell’uomo con Dio,
ad un tratto, per una strana volontà di riscatto, di rivalsa,
ha conosciuto una incrinatura i cui strascichi li patiamo ancora oggi, nessuno escluso.
E, sebbene, ne siamo indelebilmente segnati e mentre subiamo le conseguenze di quella esperienza,
ci riscopriamo quasi incapaci di ristabilire da soli la comunione infranta.

Per questo è Dio stesso a prendere nuovamente l’iniziativa di fare la prima mossa.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

giovedì 22 dicembre 2016

2. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:.. la capacità di riattivare la disponibilità a recuperare aspetti di noi troppo spesso rimossi o dimenticati.

Guadagnare tempo sulla morte:
trovo in questa espressione il senso del nostro essere qui stanotte.
Il Natale porta con sé in modo quasi misterioso
la capacità di riattivare la disponibilità a recuperare aspetti di noi troppo spesso rimossi o dimenticati. Esso, a dispetto di momenti di difficoltà e di crisi,
 ricorda che
c’è altro per cui vale la pena mettersi in gioco e spendersi.
Proprio l’esperienza di precarietà della condizione umana è ciò che ha spinto Dio a farla sua.
Il Natale, infatti, narra di un Dio che fa la prima mossa verso l’uomo non attendendo
che da parte di questi ci siano già i segni di un ravvedimento
o della disponibilità ad accogliere quanto egli vorrà offrirgli.

Proprio questo tempo di precarietà che corrisponde
a un vero tempo penitenziale,
può essere sorgente di nuove relazioni con la riscoperta
dell’essenzialità,
di nuovi stili di vita,
di sobrietà di consumi;
può essere occasione più spazio per il cielo,
più tempo per cogliere il cuore dell’altro.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

mercoledì 21 dicembre 2016

1 Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:...la consapevolezza della comune appartenenza all’umanità

Non abbiamo sparato un colpo quel giorno. Abbiamo soltanto  approfittato di quel giorno di quiete, guadagnando tempo sulla morte”.

Mi piace iniziare questa omelia nella notte santa, attingendo alla testimonianza scritta da un fuciliere scozzese l’8 gennaio 1915, il quale riportava su un quotidiano inglese la tregua avvenuta nella notte del 25 dicembre 1914, esattamente 100 anni fa. In una terribile guerra di posizione, mentre si lottava per guadagnare pochi metri di terra di nessuno in due opposte trincee fangose,
allo scoccare della mezzanotte,
i ragazzi del fronte tedesco intonano un canto natalizio
a cui i ragazzi scozzesi rispondono con il suono delle cornamuse,
mentre ripensano con nostalgia ad affetti e luoghi cari.
Qualcosa ebbe la meglio sul rombo dei cannoni:
la consapevolezza della comune appartenenza all’umanità,
prima ancora che ad un popolo
e perciò ad una cultura specifica.
Quella tregua di Natale fu il tentativo spontaneo di una riconciliazione dal basso:
i comandi supremi, infatti, che non l’avevamo ordinata, imposero che non accadesse mai più in futuro.
Una tregua scoppiata all’improvviso, senza alcun preavviso né accordo...

Eppure – Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

martedì 20 dicembre 2016

non sono capaci di scrivere e raccontare nuove storie

Troppe comunità ideali non riescono a continuare
la corsa nel tempo della crisi e della delusione
perché non sono capaci di scrivere e raccontare nuove storie,
perché non trovano forze spirituali e morali
per rielaborare il grande dono del capitale narrativo dei primi tempi.
Non capiscono –
per mancanza di profeti,
o perché ci sono e non li riconoscono,
o perché li zittiscono per paura di perdere l’identità –
che la prima operazione collettiva da compiere è
cercare di scoprire e
poi raccontare le nuove storie che stanno nascendo
dentro il loro tempo presente ferito e deluso,
che si aggiungano e alimentino l’antico capitale.
Perché Francesco continui a fare ora gli stessi miracoli nella sua Assisi, e di più grandi,
non basta il racconto del bacio al lebbroso:
c’è bisogno dei racconti vivi di Fra’ Enrico e Suor Marina
che abbracciano e baciano i lebbrosi di oggi.
E invece molte volte le comunità si spengono
appena termina la rendita del primo capitale narrativo del tempo della prima promessa,
per carestie di nuovi racconti.

In ascolto della vita/26 -
A ogni casa e a ogni comunità serve sempre aria nuova
di Luigino Bruni

lunedì 19 dicembre 2016

Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo in cui ci attende tutta l'eternità.

La sua grandezza è amare qualcuno più di se stesso,
il primato dell'amore.

Per amore di Maria,
scava spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo.
E diventa vero padre di Gesù, anche se non è il genitore.

Generare un figlio è facile,
ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo,
è tutta un'altra avventura. 

Padri e madri si diventa nel corso di tutta la vita.
L'annunciazione ha luogo nelle case.

Al tempio Dio preferisce la casa,
perché lì si gioca la buona battaglia della vita.

Ogni giorno di vita offerto 
è una annunciazione quotidiana.

Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo
in cui ci attende tutta l'eternità.

Dio ci benedice
ponendoci accanto persone come angeli,
annunciatori dell'infinito,
e talvolta
- per i più forti tra noi -

ponendoci accanto persone che hanno bisogno,
un enorme bisogno di noi.

Ed è così che non ci lascia vivere senza mistero.

 Il sogno di Giuseppe, gesto d'amore
di Ermes Ronchi  (Avvenire 16/12/2010)

domenica 18 dicembre 2016

finalmente era riuscito a compiere quello che per Maria sembra essere stato un gesto quasi naturale

Matteo ha parole quasi solo per Giuseppe,
Maria è un ventre caldo e disponibile, silenzioso,
Giuseppe no.
È uomo giusto
ma è anche colui che prova a nascondersi.
A differenza di Adamo che accusa Eva
lui Maria “non voleva accusarla pubblicamente”,
però ad un certo punto vorrebbe anche lui
sfilarsi fuori da una storia così enorme:
“pensò di ripudiarla in segreto”.
Giuseppe non accusa Maria,
la protegge,
però prova a fare un passo indietro.
Solo che non agisce superficialmente,
giusto è l’uomo che pensa,
e allora avviene l’incontro con Dio,
in sogno.
Che non significa che
Giuseppe stesse dormendo
ma che finalmente era riuscito a compiere quello che
per Maria sembra essere stato un gesto quasi naturale:
Giuseppe riflette e abbassa le difese,
non si protegge più.
Si spoglia delle paure e delle regole della sua cultura,
non si nasconde dietro i propri limiti
e nemmeno dietro il sogno di una vita più tranquilla.
Non si copre più con simboliche foglie di fico
ma si concede senza vergogna e con tutta la sua fragilità:
si compromette con Dio.
Ecco l’immagine del padre,
un uomo compromesso con lo Stile inedito di un Dio inatteso.
E Giuseppe diventa così il custode del Testamento Nuovo,
sarà lui a proteggere Gesù dalla violenza del nuovo faraone (Erode),
sarà lui a essere padre di Gesù,
il nuovo Mosè, grazie a un esodo e a un controesodo:
Egitto andata e ritorno.
No, non è la storia di come sono andate le cose duemila anni fa
ma è la storia per come si può ripetere anche oggi,
in tutti gli uomini e le donne che accettano di essere padri sull’esempio di Giuseppe.
Uomini sull’esempio di quello
che Gesù porterà a compimento.
Uomini innamorati di una promessa,
uomini innamorarti dell’uomo,
 uomini che non accusano,
che non scaricano mai le responsabilità addosso a un colpevole.
Uomini capaci di prendersi cura della vita
anche quando la vita sorprende
e non rispetta le attese.
Uomini che si compromettono fino in fondo.
Perché dai padri si può ancora imparare.
E così Matteo racconta la storia del coraggio di Giuseppe,
uomo che raccoglie la luce dalla Resurrezione
e la lancia con passione fino a Genesi.

Alessandro Dehò
(Matteo 1,18-24)
IV Avvento anno A