sabato 10 novembre 2012

sulla croce, la tua resurrezione


In questo mese per i defunti ritroviamo la preghiera di Adriana Zarri:
EPIGRAFE
Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c'è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e sulla croce,
la tua resurrezione.
E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un'epigrafe d'erba.
E dirà
che ho vissuto,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.

venerdì 9 novembre 2012

durezza dei nostri cuori pronti al giudizio

Questa sera mi prostro davanti a te, misericordioso senza fine, poiché mi sono sostituito alla tua giustizia. Quante volte ho voluto regolare dei litigi quando tu mi richiamavi al perdono delle offese sette volte al giorno. Ho giudicato, e così ho perso la purezza del cuore. Mio Dio, concedici di prendere coscienza del fatto che lo scandalo non arriva solamente a causa della condotta degli altri, ma anche a causa della durezza dei nostri cuori pronti al giudizio.
 http://www.laparola.it/laparoladioggi.php

giovedì 8 novembre 2012

s'avveri in me la mano tua

Leggendo con "simpatia" e interesse il blog di una  follower  di quanto viene scritto in questo spazio,  ho ricordato questa preghiera di

Rainer Maria Rilke
DA IL LIBRO DELLA POVERTA' E DELLA MORTE
Forse nel cuore di greve montagna
chiuso son io. Per dure vene scorro:
così profondamente, che non veggo
luce di sbocco o lontananza. li mondo
si strinse attorno a me. Pietra divenne.

In questo mio patire ignaro io sono;
nel buio immenso, piccolo mi sento.
Ma tu, Signore, sei. Fatti concreto,
e irrompi nella tenebra petrosa,
perché s'avveri in me la mano tua,
ed io divenga in Te, con la montagna. 

mercoledì 7 novembre 2012

è l'uomo che domanda a tutti pietà e amore

Devo una risposta Massimo. Il testo di Don Primo, come quello che cito di seguito sono tratte da La parola ai poveri, La Locusta, Vicenza 1960

Senza una conoscenza umana del povero, non si arriva alla conoscenza fraterna. l'uomo deve vedere l'uomo nel povero. Il "compagno" non basta, il "camerata" non basta, come non basta colui che è della nostra razza, della nostra classe, della nostra nazione.
Non disprezzo nessuna conoscenza e nessun vincolo, ma abbiamo troppo sofferto, e tuttora soffriamo, di questi limiti di umanità: abbiamo troppo sofferto per quello che è legato alle parole razza, nazione, casta, classe, per accoglierle come il momento della nostra conoscenza. Abbiamo bisogno di veder subito l'uomo, per non cadere di nuovo nella tentazione d'ipotecare la giustizia e di restringere il cuore. Vogliamo anzitutto una visione umana del povero, perché il povero non ha nazione, né classe, né razza, né partito: è l'uomo che domanda a tutti pietà e amore.
E quando dico voglio vedere l'uomo, non intendo l'uomo dei filosofi, che non m'interessa, come non m'interessa il dio dei filosofi. Intendo l'uomo reale, l'uomo vero, in carne e ossa: uno cioè che posso toccare. E quest'uomo che posso toccare e che chiede pietà sono io stesso. Povero è l'uomo, ogni uomo. Non per quello che non ha, ma per quello che è, per quello che non gli basta, e che lo fa mendicante ovunque, sia che tenda la mano, sia che la chiuda.
Il povero sono io, chi ha fame sono io, chi è senza scarpe sono io. Questa è la realtà: così è il vedere reale. Io sono il povero; ogni uomo è il povero!

La parola ai poveri, La Locusta, Vicenza 1960.

martedì 6 novembre 2012

per disgusto spengo il televisore. Spengo i volti truccati. Spengo la menzogna.


Seguendo la scansione sapiente del libro del Qoelet potremmo dire che c' è un tempo per parlare, ma c'è anche un tempo per tacere, un tempo per il silenzio
Dentro, lasciatemi dire, una stagione, la nostra, di parole e di rumore. Non so se qualche volta anche voi siate presi da questo desiderio, che a volte riconosco in me, forse desiderio un po' folle, di uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Veniamo, so che esagero, dal paese del disgusto. Dal rumore delle parole. Assordante, impenitente. Un inferno in terra. E più si è vuoti, più si consumano parole. Più si è maschere, più ci si esibisce. Finisce che per disgusto spengo il televisore. Spengo i volti truccati. Spengo la menzogna.
Le parole per impazzimento hanno smarrito il loro suono. Sono usate per dire il contrario del loro suono, non hanno più la pesantezza del reale, hanno la leggerezza del nulla. Ascolto, chiudo. E dico: è il nulla. E poi parlano di nichilismo! Loro che sono giullari del nulla, giganti del nulla. Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Per un bisogno di sincerità, innanzitutto con me stesso.
don Angelo Casati

lunedì 5 novembre 2012

giudicato luogo dell'assenza o tempo dell' inutile

Vi confesso che, da un po' di tempo a questa parte, mi nego - sarà una mia malattia - a convegni dove per giorni e giorni una relazione sta sul collo di un'altra. Sarà perché sono vecchio e quindi più lento, ma io sento il bisogno di lasciar depositare la parola nell'humus della terra: che stia, la parola, in uno spazio di invisibilità, uno spazio segreto, che troppo affettatamente viene giudicato luogo dell'assenza o tempo dell' inutile. Tempo del "silenzio del seme" nella terra, il silenzio dei nove mesi, mentre oggi tutto è accelerato e a rischio di nascite mostruose. 
don Angelo Casati

domenica 4 novembre 2012

ogni ge­sto umano, se è dono di noi stessi, è gesto creatore d’eternità


Se ogni atto umano ha una portata infinita, se ogni gesto ha una portata regale e un’ampiezza divina, vuol dire anche che ogni atto sfocia nell’eterno e ha un valore d’eternità. Ha un’importanza immensa. Siamo sempre tentati di dire: “Lo farò domani. Domani penserò a Dio. Domani farò silenzio dentro di me. Domani sarà finalmente il giorno in cui realizzerò la mia vocazione. Domani inizierò il cammino della santità”. Ma non è assolutamente vero. Se aspettate domani, non combinerete niente. […] Una donna che ama davvero non dice: “Domani amerò mio marito, domani amerò i miei figli, domani avrò tempo per pensare a loro”. Ma lei li ama proprio ora, perché ogni lavoro è fatto per loro, nell’attesa del loro ritorno. È ora che lei ama e in ogni gesto impegna se stessa completamente. È esattamente quanto dobbiamo fare. Non dobbiamo aspettare il pomeriggio, è adesso, è qui, è tra poco in refettorio, davanti alla scrivania o alle macchine. Lì Dio vi aspetta, lì è la vostra eternità, la vostra comunione infinita, perché ogni ge­sto umano, se è dono di noi stessi, è gesto creatore d’eternità. Non dobbiamo aspettare altro. Se morite stasera e la vostra giornata è stata piena di Dio, voi sarete nell’eternità, perché voi siete già diventate eternità: sola maniera di vince­re la morte è di eternizzare il momento attuale, l’adesso. Ora, qui, oggi, in cucina, servendo a tavola, in ricreazione, davanti ai conti in ufficio, in ogni istante la vita divina vi chiama, può circolare attraverso voi, comunicarsi agli altri, purché siate attenti all’immensità della vita. Dio non è qualcuno di cui si parla, ma Qualcuno che si respira, che si comunica attraverso l’atmosfera che emana da noi. Se siete in costante comunione con Dio, lo si avverte attorno a voi.
(M. Zundel)