sabato 24 settembre 2011

La fede non ci risparmia dal passare dalla “valle oscura”

In questo primo giorno di ospedale riporto queste riflessioni di don Angelo Casati
 “È normale aver paura
– ha risposto don Angelo nel dibattito –
e dobbiamo rispettare questa nostra misura, questa nostra fragilità che a volte nascondiamo.
Non abbiate paura delle vostre fragilità, non sono una cosa sporca, siamo fatti di argilla.
È normale avere ansia.
Ma forse il passo successivo, ci dice il libro della Genesi, è che siamo argilla in cui Dio ha soffiato il suo spirito.
Allora tu non sei ansia, preoccupazione, ma dentro di te c'è qualcosa di forte, anche se non appare. Vorrei farti pensare alla tua vita, a ciò che hai fatto fino ad oggi, e che in questo cammino qualcuno ti ha condotto e che se ti ha condotto ti condurrà ancora”.
La fede non ci risparmia dal passare dalla “valle oscura”; ma in questa valle oscura non sei solo. “Questa è la forza:
una mano che ti stringe,
magari la mano di Dio
che ti stringe è quella della persona
che ti vuole bene,
che ti è amica,
che tu incontri”.

venerdì 23 settembre 2011

Il Tuo amore sta nell'amore di tutti


Chi mi è accanto stia pur vicino;
non possono sapere essi
che Tu sei più vicino di loro
dentro il mio cuore.
Chi vuol parlare parli,
non chiuderò loro gli orecchi;
essi non sanno che il mio animo
è pieno delle Tue parole segrete.
Te ne stai sempre
dentro il mio cuore, in silenzio.
Non dirò mai a nessuno, o Signore,
di lasciare la strada che conduce a Te.
Tutti gli amori mi porterano
verso di Te.
Il Tuo amore sta nell'amore di tutti,
la Tua adorazione.
Si risvegli in cuor mio
la Tua unione nell'unione di tutti.
    
Rabindranath Tagore

giovedì 22 settembre 2011

utile solo a rivestire un manichino

Oggi riporto la lectio liturgica di don Enzo Cuffaro. Ogni giorno mi accompagna nella riflessione teologica sulla Parola sempre con toni alti e puntuali facendo riscoprire come la Liturgia quotidiana insegna il discepolato. Per questo mi permetto di consigliare di attingere al suo sito (http://www.cristomaestro.it/) per avere questo cibo quotidiano. 
L’evangelista Marco dice che “Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” (Mc 6,20). Questa descrizione suppone, nella personalità di Erode, una divisione interiore: qualcosa come una distanza o un conflitto tra il cuore e la mente. Egli avverte, nel profondo di se stesso, che la parola di Giovanni è vera; sente che esprime dei valori nobili, per i quali val la pena di impegnarsi totalmente e perfino di giocarsi la vita, ma soltanto una parte di lui riesce ad apprezzare l’annuncio di Giovanni. Un’altra parte, invece, è come legata da un timore: intuendo quali scelte radicali e quali virtù eroiche quella verità esigerebbe, il re si mantiene a distanza di sicurezza, senza tuttavia poter negare, dinanzi a se stesso, la validità di quell’insegnamento. In realtà, il discepolo può facilmente cadere in questa interiore divisione, cioè in un apprezzamento puramente mentale dei valori del Regno, a cui non corrisponda un’adesione piena sul piano volitivo e comportamentale. Non di rado, ci poniamo davanti al vangelo come ci si pone dinanzi a un racconto dalla trama avvincente, che ci conquista, anche se non vorremmo mai trovarci nei panni del protagonista. Le cause dell’indebolimento dello spirito del discepolo sono tutte qui: “Anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” (Mc 6,20). Nell’ascolto della Parola, Erode scopre di avere due anime, una che apprezza e una che fugge. Il discepolo è chiamato, invece, all’unificazione interiore della mente e del cuore dinanzi alla Parola, perché non avvenga che Essa, apprezzata con una parte di sé, sia poi fuggita con un’altra parte di se stessi, creando così un conflitto interiore e quindi un inevitabile indebolimento della vita spirituale. Ciò che ha impedito a Erode di incontrare Cristo come Salvatore è in primo luogo la divisione della sua anima. In secondo luogo, la sua vana curiosità: il suo incontro con Cristo, durante il processo civile, è per lui solo un’occasione per poter vedere qualche miracolo. L’evangelista Luca non manca di sottolinearlo nel racconto della Passione: “Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da Lui” (Lc 23,8). Cosa che Cristo non poteva accordargli. Non si cerca Dio per il gusto dello straordinario. A una tale aspettativa, Gesù risponde col più totale silenzio (cfr. Lc 23,9). In Luca 9,9 è detto che Erode “cercava di vederlo”. Luca, nel suo vangelo, presenta Gesù come oggetto di ricerca e di contemplazione. Anche Zaccheo viene spinto a salire sull’albero dal medesimo desiderio: “per cercare di vedere quale fosse Gesù” (Lc 19,3), ma non con lo spirito superficiale di Erode. Il pubblicano Zaccheo è disposto a ridefinire la propria vita, dopo avere visto Gesù; Erode invece no. E questa è la differenza sostanziale tra i due.
Erode viene anche presentato sotto un altro aspetto che per contrasto allude all’autentica regalità del battezzato. Dal punto di vista umano, Erode è rivestito della dignità regale, ma dal punto di vista della sua statura morale, egli appare inferiore all’ultimo suddito del suo regno. La regalità del discepolo, che consiste nell’essere figlio di Dio, avendo sopra di sé nessun altro potere se non la divina autorità, è una regalità certamente superiore a quella derivante dal potere politico. In questo senso, il battista è una figura di contrasto: prigioniero e condannato a morte, è l’unica vera figura regale all’interno del racconto, l’unico uomo libero, pur trovandosi in catene. Erode invece non è un uomo libero; egli è reso schiavo da molti tiranni: innanzitutto, da ciò che si pensa di lui a corte, ed è pronto a trasgredire la giustizia, pur di non andare contro le aspettative, anche perverse, dei suoi dignitari (cfr. Mc 6,26). E poi i tiranni che sono le passioni: la mancanza di dominio di sé, lo porta a fare una promessa irriflessiva confermata persino da un giuramento (cfr. Mc 6,22-23; Mt 14,7). Occupare una posizione importante, o essere rivestiti di autorità istituzionale, non è garanzia di statura morale. Se la virtù non corrisponde alla posizione che si occupa, come nel caso di Erode, le conseguenze sono devastanti. Il discepolo è chiamato a una totale libertà sia dalle passioni, sia dai giudizi perversi di chicchessia. In tal modo, il battezzato vive una regalità senza scettro, che è tanto più autentica quanto più è falsa la regalità di Erode, la quale, pur munita di tutte le insegne, è solo apparente, utile solo a rivestire un manichino. Don Enzo Cuffaro

mercoledì 21 settembre 2011

risponde, ascolta e aggiunge


Sette cose caratterizzano l'ignorante e sette il sapiente.
 Il sapiente non parla mai davanti a chi gli è superiore in scienza e in età;
 non entra nei discorsi degli altri;
 non precipita a rispondere ma domanda;
 risponde, ascolta e aggiunge;
 domanda a proposito e risponde in regola;
 tratta ordinatamente i vari argomenti;
 in quel che non sa dice di non sapere e rende omaggio alla verità. 
Le caratteristiche opposte sono nell'ignorante.
Pirque Aboth, V, 8
Il Pirqe Aboth è una raccolta di massime ebraiche del 2° secolo d. C.

annunciarle che il medico delle nostre anime è vivo

Beato apostolo Matteo, dicci cosa è avvenuto tra te e Gesù, perché alla sua chiamata hai lasciato tutto per seguirlo subito, parlaci del suo sguardo, che ti ha convinto più delle sue parole. Prega il Figlio di Davide perché noi possiamo incontrarlo come tu l'hai incontrato, perché ci mettiamo sempre al suo seguito e gli proviamo il nostro amore nella radicalità delle esigenze evangeliche. Dio è venuto alla tua tavola, e certamente era quella dei peccatori, ma era soprattutto la tua anima peccatrice che egli si è degnato di visitare, mangiando e comunicando con te. Intercedi presso Dio clementissimo perché noi incontriamo la misericordia, e perché, cessando di allinearci con quelli che si scandalizzano, non esitiamo più ad andare incontro all'umanità più peccatrice, più reietta, più malata, per annunciarle che il medico delle nostre anime è vivo.http://www.laparola.it/laparoladioggi.php

martedì 20 settembre 2011

La vita non è una corsa

DANZA LENTA
Hai mai guardato i bambini in
girotondo,
o ascoltato il rumore della pioggia
quando cade a terra?
O seguito lo svolazzare irregolare
di una farfalla?
Osservato il sole allo svanire della
notte?
Faresti meglio a rallentare
Non danzare così veloce,
la musica non durerà.
Quando dici “come stai?”
Ascolti la risposta?
Quando la giornata è finita
ti stendi sul tuo letto
con centinaia di questioni successive
che ti passano per la testa?
Non danzare così veloce,
il tempo è breve
la musica non durerà.
Hai mai detto a tuo figlio
“Lo faremo domani”
Senza notare nella fretta
Il suo dispiacere?
Mai perso il contatto
con una buona amicizia
finita perché
non avevi avuto tempo
di chiamare e dire “ciao”?
Faresti meglio a rallentare,
non danzare così veloce
il tempo è breve
la musica non durerà.
Quando corri così veloce
per giungere da qualche parte
ti perdi la metà del piacere di andarci.
Quando ti preoccupi e corri tutto il giorno
È come un regalo mai aperto,
gettato via….
La vita non è una corsa.
Prendila piano,
ascolta la musica.
da Giugno 2011 - n. 50  C.D.B. Chieri informa  -Le riflessioni di alcuni studenti di scuola superiore

volentieri là dentro se in Chiesa lui tornasse a parlare di Dio

 Il mio non è un partito preso, ci tornerei volentieri là dentro se in Chiesa lui tornasse a parlare di Dio. Non basterà la castagnata d'autunno in oratorio a convincermi: il cuore giovane si muove con un'appassionata curiosità e un'amabile cura. Lungi dal fare i preziosi, noi sul sagrato c'abbiamo gusto fine per le cose e sappiamo distinguere i prodotti originali da quelli contraffatti. Noi cerchiamo il Dio vivace della Scrittura: quello che ride e gioca con i suoi figli, che crea e inventa. Che li aiuta a trovare un senso al loro precariato, che vedendo i loro sguardi trafitti parla loro di amore, di passione e di seduzione. Che ci stupisce conoscendo i nostri nomi uno ad uno e che ci racconta di come ha creato il sole, la luna e il firmamento. Che ci insegna a vincere le nostre paure, ad ottimizzare i nostri sbagli, a organizzare il nostro futuro. A non temere i contraccolpi di chi s'impegna per ammazzare la speranza. (don Marco Pozza)

lunedì 19 settembre 2011

Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti.

Leggendo S.Agostino (Disc. 46, 14-15; CCL 41, 541-542), proposto dall'ufficio delle letture di quest'oggi ho avuto la tentazione di metterLo nella pagina di presentazione del blog, almeno l'estratto che riporto sotto. Poi mi son detto che lo zelo che urla in queste righe, non è nelle mie corde politicamente corrette, anche se lo sento in me fino a star male per le persone che amo e che stimo. Dovrei aver qualcosa di S. Paolo o di S. Agostino; loro hanno conosciuto l'amarezza di quegli smarrimenti, insopportabili dopo aver amato Cristo.
 "Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita; che tu voglia o no, lo farò. Anche se nella mia ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti, cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosterranno quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Riporterò la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita. Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti."

sotto la mia faccia da asino ci sta un alfabeto di desideri


Le dirò che io quest'anno a scuola non ci volevo proprio tornare. Pensare che voi (lei e i suoi colleghi) mi farete perdere il primo mese di scuola per ambientarmi (è l'undicesimo anno che varco quella soglia!), che comincerete già dalla seconda ora a parlarmi degli esami di maturità quando mancano ancora tre anni, che parlerete male di Berlusca e dei suoi inservienti, che mi riempirete la testa della nuova Manovra e dell'incapacità del Governo di rappresentarci e che condirete il tutto intervallandolo con i vostri problemi familiari ed esistenziali un po' mi fa incavolare.
          Perchè lei, prof, dovrebbe sapere che sotto la mia faccia da asino ci sta un alfabeto di desideri: di correre, di gridare, di piangere, di amare, di sognare, di diventare grande, di sognare da capitano. Per fare questo le sue frustrazioni mi sono più d'intralcio che d'aiuto. Scusi se glielo dico, ma se ci torno a scuola è perchè anche quest'anno – mi creda: non giochi con la bontà degli studenti – spero che la musica cambi per davvero. Io vorrei tanto vederla piangere mentre spiega la sua materia, scoprire dentro il suo sguardo la passione per quello che dice, inabissarmi nel suo entusiasmo per poi scoprire che lei è davvero quello che dice. Sentirmi raccontare di quando Pasteur tratteneva il fiato sopra il suo miscroscopio, di quando Cèzanne immobile e muto scrutava il mare dentro i suoi quadri, di quando Platone s'accorse di consumare più olio nella lampada che vino nella coppa. Quest'estate ho sognato tante notti di entrare in classe e scoprire che la mia prof crede davvero che la vita abbia un senso splendido da far sbocciare, che noi non siamo qui per caso, che dentro noi c'è un microcosmo meraviglioso da illuminare.
          Quando penso che alla mia età Mozart già componeva musica, Domenico Savio era già santo, Alessandro Magno stava per vincere la battaglia di Cheronea e Pascal già scrivera opere, sento nascere la passione nel mio cuore. Le chiedo solamente, prof, che qualora lei non l'avvertisse questa passione mi faccia il piacere di starsene a casa quest'anno: s'inventi una scusa qualsiasi, ma ci faccia il favore di non scegliere ancora noi come destinatari della sua frustrazione esistenziale. C'abbiamo grandi aspettative noi ragazzi. E tanta speranza che qualche prof entri in classe e ci faccia finalmente innamorare delle cose più alte e nobili.
Di Berlusca ne parli pure. In sala docenti, però. Marco Pozza

domenica 18 settembre 2011

Non abbiamo gli occhi di Dio


Il lamento non viene solo dal fatto che si è mercenari e si fa di tutto -della vita- una questione di soldi, ma viene anche da questa insofferenza: non si sopporta che gli altri siano "fatti uguali"a noi, vogliamo che ci siano le distinzioni, "come se" -scrive un commentatore- "un denaro - il tuo denaro!- per il semplice fatto che è concesso ad altri, valesse meno".
C'è questa -come non chiamarla- insensatezza: "abbiamo bisogno che gli altri ci invidino, per essere sicuri di valere qualcosa ai loro occhi" (G.Angelini).
La parabola svela impietosamente questi meccanismi segreti del cuore umano, le nostre grettezze, le nostre invidie, le nostre gelosie, le nostre meschinità, il nostro "occhio" -dice il testo greco- il nostro "occhio malvagio", perché alla fin fine è una questione di occhi. "Il tuo occhio é malvagio perché io sono buono?" dice il padrone ai servi della prima ora.
Non abbiamo gli occhi di Dio. Non abbiamo gli occhi di Dio se l'uguaglianza per noi fa problema, se siamo per le sperequazioni.
Abbiamo gli occhi di Dio se sappiamo godere ogni volta che un fratello, una sorella, un altro popolo ritrova la sua dignità, la dignità che abbiamo noi. E ne ringraziamo Dio. Angelo Casati