sabato 3 marzo 2012

il meno recuperabile


"Essendo il tempo 
 il bene più prezioso che ci sia dato,
 perché  il meno recuperabile,
 ogni volta che
 ci voltiamo indietro a guardare
 ci rende inquieti l'idea del tempo
 eventualmente perduto.
 Perduto sarebbe il tempo
 in cui non avessimo vissuto da uomini,
 non avessimo fatto esperienze,
 imparato, operato,goduto e sofferto.
 Tempo perduto è
 il tempo non riempito, vuoto.
 La Parola di Dio reclama il mio tempo.
 Dio stesso è entrato nel tempo,
  e vuole che io gli dia il mio tempo.
  Essere cristiani  
  non è questione di un attimo 
 ma richiede tempo"
 
                                    Dietrich Bonhoeffer

venerdì 2 marzo 2012

una pena / di non sentire mai / dolcezza alcuna / che non sia di tutti...

dal 1950 ogni domenica sulla terza pagina de L'Eco di Bergamo. In realtà, il primo contributo di Turoldo al giornale arrivò il 22 settembre del 1947. Era una poesia: 
«Senti che è di troppo / 
il sapore di una pesca / 
in questa povertà / 
di case diroccate / 
senti che non ti è lecito / 
provare questo dolciore / 
d'anima emigrata / 
dalle strade della tua umanità / 
Sposata hai / 
una pena / 
di non sentire mai / 
dolcezza alcuna / 
che non sia di tutti...».

giovedì 1 marzo 2012

il cuore che parla… ed è inesprimibile


Da sempre ogni bontà è bontà di Dio e Dio ama nel cuore dell’uomo. Questo mantiene viva una grande speranza. La bontà non può morire.  È più forte del male, salverà il mondo, vincerà.
Quando trovi bontà, ti si apre il cuore.
Prima delle religioni definite tali, e anima di tutte, c’è quella del cuore. Il cristiano ha il compito di riconoscerla in tutti e diventarne il lievito.
Suor Maddalena incontra il Patriarca Athenagora e questi le chiede: «Come sta mio fratello Paolo VI?»  Poi Athenagora continua: «Siamo caduti (sic) le braccia dell’uno, nelle braccia dell’altro, l’anima dell’uno, nell’anima dell’altro. Ci hanno chiesto . “Quante volte?” Risposi: “Quando due fratelli si incontrano dopo nove secoli, gli abbracci non si contano!”» «E in che lingua parlavate? -  Risposi: “Dopo nove secoli, è il cuore che parla… ed è inesprimibile!”». 

Silvano Zoccarato



mercoledì 29 febbraio 2012

poi si trovano una logica


La bellezza
dal film I Cento Passi, di Marco Tulliio Giordana, Italia, 2000



«Uno potrebbe pensare che la Natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo. E invece non è così. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte poi si trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere. Fanno queste case schifose, con le finestre in alluminio, con i mattoni vivi... i balconcini... La gente ci va ad abitare e ci mette le tendine, i gerani, la televisione... Dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio: c’è, esiste. Nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza.»
«Ho capito, ma... allora?”
«Eh, allora, invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e sti fesserie, bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza. Aiutarla a riconoscerla, a difenderla.»
«La bellezza?»
«La bellezza. E’ importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto.»

martedì 28 febbraio 2012

per cavarmela rapidamente


Oggi il post sarà decisamente lungo: è meglio che ci sediamo.
E' volutamente lungo, c'è bisogno che ci sediamo: per creare le condizioni, senza orologio, per parlare, per ascoltare, per chiedere scusa...per arrivare al consenso-
Quanta saggezza e vento contrario alle vele che spieghiamo nel nostro quotidiano.
Vele "pretese" a risolvere tutto, in fretta e da soli e senza ammettere sbagli-
QUESTIONE DI METODO  
"I mindjor pa no sinta"
Mi è capitato di discutere animatamente con uno dei maestri della scuola di un villaggio. Lui cercava di espormi un suo problema che, guarda caso, era anche per me un problema! Esigeva una soluzione che io non avevo e io esigevo che lui mi capisse.
Parlavamo in piedi, in fretta e arrabbiati. Questo metodo ci ha obbligati a finire rapidamente la discussione, ma senza arrivare a una soluzione; nell’aria erano rimaste parole un po’ pesanti. C’era solo una pace apparente, tanto per salvare la buona educazione.
La cosa mi spiaceva e, probabilmente, spiaceva anche a lui.
Qualche giorno dopo ho chiesto consiglio a un altro maestro che mi ha detto: "I mindjor pa no sinta", che significa: "E’ meglio che ci sediamo".
Sedersi, penso in tutti i Paesi dell’Africa e anche in qualche altra cultura, è sinonimo di parlare, anzi, di voler creare le condizioni per parlare. Vuol dire anche essere disposti ad ascoltare le spiegazioni, le motivazioni dell’altro, come è andata, come lui l’ha vissuta.
Il maestro in questione è un ottimo "narratore", capace di raccontare in dettagli un fatto, tanto da fartelo vedere al vivo, ma... non consulta l’orologio e occorre una pazienza infinita.
Forse per questo non l’avevo invitato a sedersi, per cavarmela rapidamente. In Italia poteva funzionare così, perché nella propria cultura si intuiscono tante cose anche senza spiegarle troppo.... Ma io, ora, non sono nel mio Paese, non vivo con persone della mia cultura, sono in Guinea Bissau, in Africa. Così mi sono accorta di aver sbagliato metodo, ed ho imparato tante cose da questo malinteso.
La storia è continuata così... Dopo qualche giorno ci siamo "seduti" ed eravamo in quattro: il maestro con suo nipote, invitato da lui perché insegna nella stessa scuola, il maestro che mi aveva consigliato ed io.
Superato il timore di chi dovesse iniziare a parlare, ho potuto gustare e provare anch’io a vivere un valore africano molto importante, quello di arrivare al consenso, all’intesa attraverso la parola, la conversazione fatta "da seduti" con molta calma e con la pazienza di aspettare il proprio turno senza interrompere. È importante dare tutto il tempo necessario perché ciascuno spieghi il suo punto di vista, il suo stato d'animo, ciò che realmente voleva dire.
I nostri testimoni ripetevano ora le mie, ora le parole del maestro, per approfondire il discorso e facilitare la soluzione.
L’intesa è arrivata, io ho ammesso le mie esagerazioni e il maestro mi ha stupito con un finale che ha messo in crisi un "pregiudizio" che anch’io avevo assorbito dalla cultura locale.
Si dice qui che un uomo "grande" - cioè un adulto – è proprio un "grande" se non accetta le critiche dei più giovani. Il mio maestro - e sicuramente altri come lui - è invece un’eccezione; mi ha detto, infatti: "Sai, ho raccontato a mio nipote ciò che ti ho detto e mi ha fatto notare che ho sbagliato a dirti certe cose, e anch’io sono proprio convinto di aver sbagliato e ti chiedo scusa!".
Quindi non è vero che qui i "grandi" non ammettano gli sbagli; forse è questione di metodo, di punto di partenza; occorre creare il clima adatto, "sedersi" appunto, mettersi in gioco nel dialogo, alla pari, come persone che cercano insieme la verità e la pace.

lunedì 27 febbraio 2012

queste sono le tre cose che rimangono: il diritto, la fede, la libertà; ma di tutte più grande è l’amore


Quando finì il Novecento, finì anche il Millennio. A Roma, come assessore, avevo organizzato un convegno internazionale nel quale avevamo posto la domanda: che cosa di buono e salutare del Novecento dobbiamo portarci dietro nel nuovo millennio, e che cosa dobbiamo abbandonare, perché non ritorni mai più? Questa domanda vale anche oggi, quando la situazione è assai grave, il Novecento è rimasto incompiuto, la democrazia è interrotta, l’Italia ha smesso di essere felice e un fuorilegge si aggira per l’Europa parlando in nostro nome.
La mia risposta, che ho voluto darvi qui stasera, è che del Novecento restano, insieme a molti altri doni, quelle tre grandi cose che furono la Costituzione, il Concilio, e il 68. Ma nessuna di queste cose potrà sopravvivere, se non sarà assunta con amore, così come per amore sono state compiute. Non c’è dubbio che alla Costituente uomini come Moro, Dossetti, Basso, La Pira, Lazzati, Calamandrei, e donne come Laura Bianchini, Angela Gotelli, Teresa Mattei, operarono per amore. Non c’è dubbio che Giovanni XXIII ha osato il Concilio per amore. E il ’68 è stato l’utopia dell’amore come alternativa al potere. Oggi si può anche difendere la Costituzione, come noi facciamo, ma senza un amore che abbia l’assillo del bene comune di tutti i cittadini, essa è destinata a sfiorire e a cadere a pezzi, ben oltre l’art. 41; oggi un papa potrà pure rendere formale omaggio al Concilio, ma se non lo assume con amore, anzi con passione, non potrà dare nuova vita alla Chiesa; oggi il 68 è dimenticato e da molti perfino esecrato; ma se le nuove generazioni si incistano nei loro amori privati, e non riscoprono la dimensione comunitaria, politica e pubblica dell’amore, inaridiranno nei loro egoismi. Come diceva Aldo Capitini parlando della nonviolenza, come di una scelta fatta per amore: “ma è l’amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i propri genitori, i figli, il cane di casa, i concittadini, ecc.); è amore aperto, cioè pronto ad amare altri e nuovi esseri, o ad amare meglio e più profondamente gli esseri già conosciuti. Perciò non è mai perfetto e non finisce mai”.
Oggi, a dieci anni dall’inizio del nuovo Millennio, siamo preoccupati per i giovani e per i figli dei loro figli che vivranno in questo secolo. Quello che noi possiamo fare è di trasmettere loro gli attrezzi e le speranze che noi abbiano avuto nel Novecento, sapendo però che saranno loro a decidere cosa farne, e anche come dotarsi di attrezzi nuovi. Ogni generazione ha le sue vie. Non si tratta perciò di lasciare ai nostri figli degli altarini alla Costituzione al Concilio e alla contestazione, ma di dire il senso che queste cose hanno avuto per noi. E forse, riecheggiando una vecchia parola, potremmo dirlo così: queste sono le tre cose che rimangono: il diritto, la fede, la libertà; ma di tutte più grande è l’amore.
di Raniero La Valle  30-12-2011

Domani-Storia – Il mio Novecento è finito mentre un fuorilegge si aggirava per l’Europa parlando a nostro nome

domenica 26 febbraio 2012

Ho permesso che aprissero Questo conto a mio nome

Nulla è in regalo

Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo,
sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.

E' così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.

E' troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
Mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo
Tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.

Nella colonna Dare
Ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.

L'inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.

Non riesco a ricordare
Dove, quando e perché 

Ho permesso che aprissero
Questo conto a mio nome.

La protesta contro di esso
noi la chiamiamo anima.
E questa è l'unica voce
Che manchi nell'inventario.

Wislawa Szymborska